PER FARE UN ALBERO

Nei giorni scorsi, il sito Montagna.tv ha pubblicato l’articolo “Le foreste dopo la tempesta Vaia. Rewilding o gestione attiva?”. A completamento di quanto Uncem aveva già scritto nel comunicato  richiamato sul web, e a integrazione di quanto scritto voglio essere più chiaro:
1. Uncem ha lavorato in diverse Regioni alla stesura delle leggi forestali regionali (a partire dal Piemonte) e ha lavorato alla stesura del Codice forestale nazionale, moderna legge che richiede una serie di decreti attuativi. Gli stessi regolamenti e decreti sono in fase di stesura, anche grazie a una attenta concertazione nei tavoli di lavoro previsti dal Mipaaf alla presenza anche del Ministro Bellanova e dei suoi Sottosegretari. Auspichiamo – e l’ho scritto ancora ieri, Giornata internazionale delle Foreste al Ministro – che vengano approvati in tempi rapidi, tutti i decreti e i regolamenti al fine di dare pienamente attuazione alla legge.
2. Uncem aderisce alla campagna “60 Milioni di Alberi” che, come scritto sul sito www.60milionidialberi.it, grazie a tutti i soggetti che vi aderiscono (a partire da Crea, Sisef, Conaf, Aiel, Legambiente, Pefc, Fsc, Alleanza delle Cooperative, Compagnia delle Foreste…) vuole supportare scientificamente i Comuni, tutti gli enti, Associazioni, privati che vogliono piantare alberi per contrastare la crisi climatica (dicendo anche che questo atto da solo non basta per affrontare la crisi grave che il mondo affronta) come dall’Appello lanciato da Slow Food con le Comunità Laudato Si insieme ai Vescovi. Dunque, se piantiamo alberi dobbiamo farlo bene, secondo la Strategia forestale che si sta costruendo e grazie altre Strategie, come la Strategia per il verde urbano.
3. La nota Uncem richiamata nel pezzo di Montagna.tv si riferiva non certo solo a Vaia. Anzi. Su Vaia ci sono assise e confronti istituzionali, accademici, che non richiamo e che perfettamente permettono un confronto tra gli esperti. Le gestioni forestali dei boschi nelle aree montane devono avere, secondo Uncem, opportune strategie e pianificazioni proprio per prevenire danni da incendi e tempeste, da calamità. Pianificare permette di essere più resilienti. Per questo Uncem invita gli Enti locali a farsi supportare da Dottori forestali, ad avere un Piano forestale territoriale per quanto riguarda le superfici pubbliche, a fare piani di azione in accordo con i privati.
4. Sul paesaggio, non aggiungo nulla rispetto a quanto l’amico Annibale Salsa ha scritto nel volume “I paesaggi delle Alpi, edito recentemente da Donzelli. Il bosco gestito compone il paesaggio, uno spazio di vita, un antidoto allo spaesamento. Leggere il libro offre chiavi importanti anche per capire cosa vuol dire gestire e pianificare.
5. Non crediamo, Uncem non crede, nella wilderness. Nessun Sindaco di Comune montano ci crede e la vuole. Se il bosco non è gestito, invade non solo il prato-pascolo, ma anche i villaggi e le aree che sono state abbandonate dall’uomo per motivi economici, sociali, antropologici che non voglio esaminare qui. Da sempre le comunità alpine e appenniniche hanno gestito i loro beni, anche grazie a usi civici, regole, altre forme di protezione e condivisione. Anche grazie ai recenti sistemi per superare la frammentazione fondiaria – gravissima emergenza per tutto il Paese e in particolare per le aree montane – in particolare con le “Associazioni fondiarie” o il “Condominio forestale”. Altre forme “dal basso” nascono oggi, proprio dalle comunità.
6. In merito al valore del prato-pascolo, suggerisco di intervistare un grande accademico che ha passato la sua vita a studiare forme di contrasto alla frammentazione e modelli di intervento operativo, istituzionale ed economico per la valorizzazione dei territori agricoli, rurali. È il prof. Andrea Cavallero dell’Università di Torino. Una cosa aggiungo: il prato-pascolo è importantissimo per l’attività agricola, pastorale, per far sì che ci siano adeguate opportunità per giovani che vogliono avviare o potenziare imprese agricole. Anche su questo fronte, serve una pianificazione. Uncem da anni insiste affinché i Comuni montani siano dotati di un Piano pastorale oltre che di un Piano forestale. E che questi due strumenti di programmazione (decisiva e necessaria oggi per i livelli istituzionale) siano in dialogo con i Piani regolatori generali comunali, nonché con i Piani di Protezione civile (questo ad esempio per individuare aree dove stoccare legname anche in caso di calamità, tipo Vaia). Aggiungo che questi strumenti, se fossero (e dove già lo sono) sovracomunali, permetterebbero una pianificazione su beni che di certo non seguono i confini amministrativi e che non possono avere regole differenziate e parziali.
7. Torno sul “piantare alberi”. Certamente anche nei Comuni montani si possono piantare. Ma ripeto: questo atto va fatto con particolare attenzione alle aree individuate, alle essenze, alle modalità di gestione successive, al mantenimento, a quanti alberi e come. A chi lo fa e con quali obiettivi, anche culturali. Serve una capacità scientifica che con il gruppo “60 milioni di alberi” è possibile garantire in primo luogo agli Enti locali, montani e non. Sul sito ci sono tutte le informazioni. È costantemente aggiornato. E vi è anche una newsletter che Uncem ritrasmette alla sua mailing list.
8.  Per Uncem non c’e “l’economia prima di tutto”. Anzi. Il bosco gestito – come scritto nella legge forestale nazionale – è in grado di esprimere pienamente le sue funzioni, in  primis quella protettiva, fondamentale per garantire un migliore assetto idrogeologico del territorio. Non solo economia. Semmai “economia civile”, circolare, che incrocia diritti di tutti, sfide in essere ambientali, diritti di cittadinanza di chi vive e opera nei territori, diritti sanciti dalle norme.
9. Le proposte “sensate” Uncem è in grado di farle. Ci prova e le fa ogni giorno, su molti temi. Sin dal 1952. E le fa – insieme a quelle della Fondazione Montagne Italia che vede Uncem unico fondatore – anche all’interno del tavolo foresta-legno, in tutte le assise dove è invitata, nei tavoli nazionali di dialogo e concertazione convocati dal Ministero, nelle audizioni di Parlamento e Regioni su questi temi. Sappiamo stare in dialogo e ascoltare le persone più esperte di noi, tecnici e accademici. Di certo, rappresentiamo le istanze dei Sindaci montani, degli Amministratori degli Enti che rappresentiamo. E su bosco, foreste, legno, servizi ecosistemici, stiamo dalla loro parte. Sempre in dialogo, ovviamente.
10. Ultima questione, i servizi ecosistemici. Come scrive la legge 221 del 2015 (anche questa necessita ancora di diversi decreti attuativi) sulla green economy, la valorizzazione dei servizi ecosistemici delle risorse che il territorio esprime è importantissima. Il bosco ha molteplici funzioni. Eroga servizi ecosistemici-ambientali che la collettività deve riconoscere. Ricordo che in Piemonte, nel 1997 è stato attivato dalla Regione uno speciale “pagamento” del servizio che la montagna esprime proteggendo le fonti idriche e prevenendo il dissesto. Così, una parte della tariffa idrica pagata dai piemontesi viene destinata agli Enti territoriali montani, le Unioni montane oggi, per interventi in questa direzione. 20 milioni di euro circa l’anno. Una situazione analoga è attiva nelle Marche e in Emilia-Romagna. Altre stanno nascendo e sono raccontate nel RAF, il Rapporto sullo stato delle foreste 2019 (da leggere per capire dove stiamo andando, una bibbia vera). Percorsi virtuosi si possono innestare anche su foreste, paesaggio, altri beni ambientali. Hanno un valore, vanno protetti, custodiscono biodiversità, e dunque queste funzioni devono essere riconosciute. Non c’entra solo la monetizzazione come qualcuno vorrebbe far credere minando il percorso. Siamo seri. E concreti, scientifici. Lavoriamo per dare senso ai servizi ecosistemici-ambientali guardando ai territori, alle comunità, a chi vive e presidia pezzi di Alpi e di Appennini. Se ancora si spopoleranno, avranno un’ulteriore desertificazione, verranno abbandonati, il bosco continuerà a crescere. Senza disturbo? Aumentando le sue funzioni e la biodiversità? Lascio queste risposte alla comunità scientifica. Di certo, Uncem ritiene che una gestione forestale attiva, una pianificazione, una strategia forestale siano, insieme, l’unica strada possibile percorribile per garantire armoniosa crescita ai boschi e diritti alla sopravvivenza e al benessere, anche sviluppo, per chi vive e opera nelle zone montane italiane. Sono loro, queste comunità, gli Enti, il terzo settore, le imprese che vi operano, i custodi dei beni. Sempre in dialogo e in relazione, mai isolati, mai da soli. Mica siamo riserve indiane! La montagna cresce se sa scambiare opportunità, funzioni, istanze con le aree urbane. Reciprocità prima di tutto, sussidiarietà. Sistemi territoriali in relazione, come ci insegna Giampiero Lupatelli di Caire. Comunità vive che si generano, come imparo da Giovanni Teneggi di Confcooperative. In queste dimensioni, più ampie e complesse, sta il lavoro e l’impegno di Uncem nel dare forza, valore, regolamentazione al patrimonio forestale e a tutti i beni ambientali. Nel guardare alla montagna in modo nuovo, moderno e a prova di futuro come abbiamo detto agli Stati generali della Montagna convocati il 31 gennaio 2020 a Roma dal Ministro Boccia e come sancito dalle Mozioni varate all’unanimità alla Camera dei Deputati due giorni prima.
La Laudato Si’ di Papa Francesco ci guidi: giustizia sociale ed ecologia integrata vanno di pari passo. Anche per (nei) territori montani.
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