OLTRE LE TIFOSERIE

Come spesso, molto spesso, succede in questo Paese, parlare pubblicamente – per chi ha ruoli pubblici, istituzionali, politici, associativi – di problemi complessi, significa infilarsi in tifoserie. L’una contro l’altra sugli spalti. Ci si scontra, si danno in pasto ai social delle frasi, si scarica la tensione urlando e contrapponendosi. Succede, succede a tutti. Forse è per questo mi piace il ciclismo, le tifoserie divise e in scontro non sono mai esistite.

Porre problemi complessi, con soluzioni complesse, richiede approfondimento, dialogo, analisi, voglia di ascolto. Fosse vero. Fosse così. Lo sperimentiamo, lo sperimento spesso. E quanto è difficile. Pure il Papa, Francesco, lo ha detto ieri all’Angelus. A volte, deve prevalere il silenzio. Fosse semplice pure questo.

Dialogo e uscita dalle logiche delle tifoserie, li sperimento in queste ore. Perché ho posto, come Presidente pro-tempore di Uncem, un tema che per i territori (montani ma non meno per le Città del fondovalle!) è centrale. Mi è sembra fosse necessario, all’inizio di questo 2023 di tragedia climatica, aprire una riflessione sul futuro dello sci, del turismo invernale, dell’accoglienza, e in particolare ancora dell’innevamento artificiale alla luce dei cambiamenti, appunto, climatici. Seria e laica. Ho detto che dobbiamo avere una sede chiara per farlo, per aprire questa riflessione, permanente (perché non si esaurisce e non è tra centro-destra e centro-sinistra, tra tifosi, tra maldestri fautori dell’una o dell’altra posizione, si o no contro sci, inverno caldo, innevamento con cannoni). La sede può essere (se non Palazzo Chigi), il Ministero del Turismo, insieme con il Ministero dell’Ambiente, quello degli Affari regionali che ha la competenza in materia montagna. Oltre le logiche negativiste e partitiche. Come si affrontano le crisi complesse (ho citato l’esempio di Torino che ha visto l’automotive implodere e con ritardo ha saputo rispondere alla crisi, ma che oggi riceve una serie di finanziamenti per l’Area di Crisi complessa, e che dovrà usare in fretta e bene). Servono professionalità e dati. Numeri, scenari. Ne abbiamo troppi pochi. Nei nostri Comuni, nei nostri territori, a tanto campanilismo e municipalismo, sommiamo tante decisioni senza dati e senza numeri. Non li abbiamo, non li conosciamo. Pil, posti di lavoro, case in vendita, gettito degli affitti, numeri della locazione breve, investimenti degli albergatori, per stare al turismo. Non li conosciamo. Troppo spesso non sappiamo, come Amministratori locali, quali e quante case ci siano in affitto e in vendita. Non per un “grande fratello” (quello vero) che guarda dal buco. Ma per conoscere, capire, investire, spingere avanti le sfide territoriali. Campanilismo turistico e mancanza di dati: dobbiamo lavorarci. Agire per invertire.

Per i territori montani, occorre capire con scienziati ed esperti di climatologia quanto ha senso investire risorse economiche, statali e regionali, in innevamento artificiale o in nuovi impianti di risalita sotto certe quote altimetriche, in certe valli. Chi vuol fissare quote uguali per tutti, dalla Sila all’Alto Adige, stia a casa. Non ci serve. Le quote non ci rappresentano e sono figlie degli scontri, padri delle contapposizioni. Anni fa, con Arpiet, Uncem Piemonte aveva fatto una bella e preziosa indagine sui bacini idrici da costruire in quota. Non è certo da buttare: vale la pena di considerarlo ancora quel lavoro, per il futuro degli accumuli. E anche dell’innevamento artificiale, dove serve e dove si può. Stupido sarebbe dire “non si fa più niente”. Vale la pena di capire cosa si è fatto dopo e prima delle Olimpiadi del 2006, cosa va fatto prima e dopo le Olimpiadi 2026. Non si scherza sugli investimenti e sui fallimenti. Ho ancora le schede delle “opere di accompagnamento” del 2006. Alcune cose, come certi bacini idrici in quota, a uso plurimo, sono manna ancora oggi. Sono preziosi. Così come certo arroccamento, utile, ben fatto, generatore di opportunità. Dire tutto bianco o tutto nero, è banalizzare una sfida e le scelte. Dire che serve solo la concretezza è per chi non vuole fermarsi a pensare. Dire mettiamo solo soldi per coprire perdite immediate è facile quanto inutile nel medio. Serve nel breve? È da valutare, da ragionare. La Politica della concretezza è bella, impegnativa. Il Pensiero politico è ancora altra cosa. Ed è più bello. Necessario. Ma lungi da me dire cosa sia questo Pensiero, per la montagna. Luoghi di dialogo mancano, luoghi di crescita del capitale umano per le montagne sono imprescindibili. Dove si va? Domanda che ci faceva sempre Lido Riba. Che fare. Si pensa e si è generativi se non si chiude la porta al pensiero per rendere tutto banale con qualche stanziamento facile. I soldi servono. Servono all’agricoltura – tutta assistita o muore, in Europa – servono all’energia (le rinnovabili sono assistite e vivaddio!), servono al turismo e alla neve, e allo sci. Con sapienza e intelligenza. Servono i soldi pubblici.

Ancor più stupido di chi dice che non servono risorse economiche vere e durature – come per bacini idrici a uso plurimo o energie rinnovabili per impianti energivori – è scegliere di ignorare, oppure di individuare meramente quote altimetriche. È una grande tentazione di queste ore. Sotto i mille, sotto i mille200, sotto i 1.400… Semplice, quanto assurdo e banale. Generatore di polemiche. Mi sembra la stessa solfa di chi racconta che occorre fissare un limite altimetrico per dire cosa è montagna. Come se Alpi e Appennini fossero la stessa cosa. Come se le montagne fossero disegnate uguali: dai 600metri in su è montagna, sotto collina… o robe semplificate del genere. Andate voi sul Chiunzi a dire che lì non è montagna, o negli Alburni a dire che sono meno montagna della Via Lattea. O sull’Altipiano a dire che è più montagna di Rocca di Mezzo. Come se Domodossola fosse come Bormio o come Roccaraso, o come Pescasseroli. Le montagne sono diverse e fissare quote, per la bontà degli impianti di risalita, come per cosa sia montagna, è inutile, assurdo, dannoso. Buono solo per la polemica da bar. Che per carità, ci sta pure. Ma non serve a risolvere un problema complesso e una crisi drammatica. Non serve. Si può fare, la polemica delle altitudini, ma non serve. Non certo Uncem la apre, non condividendola per cento altre storiche questioni. Evitiamo di cascare tutti nell’errore delle quote sul livello del mare tracciate con goniometro e squadretta, mi diceva sempre Enrico Borghi.

Analizzare, ripensare, investire, convertire. Vale per tutto il turismo montano. Che cambia. E su questo, anche i negazionisti della crisi climatica, lo sanno. A chi mi dice, allora si investiranno meno risorse, dico “ne servono di più”. Ad esempio per convertire, aggiornare, trasformare alberghi. Non abbiamo (è un esempio tra cento) “family hotels” nelle Alpi occidentali. Eppure nell’area orientale sono risposta seria e vera alle richieste delle famiglie. Non abbiamo impianti di risalita che in estate diano buoni gettiti e risultati: investiamo dunque nella promozione, lo Stato investa, punti a coprire quei gettiti estivi che non sono sufficienti all’apertura, agevoli una trasformazione dell’arroccamento, unito alla ricettività. Investire soldi pubblici in nuove strutture ricettive, a misura di territorio, diverse tra territori. Investire risorse pubbliche in impianti di rinnovabili per l’arroccamento. Investire nell’arroccamento. Certo.

Arroccamento. Che è trasporto pubblico. La logica del trasporto pubblico, che può essere studiata e percorsa in molte aree alpine e appenniniche, per superare la logica della perdita del privato (proprietario o gestore) da far ripianare al pubblico, che è molto facile anche in questi giorni. La pubblicizzazione degli impianti di risalita può essere una risposta in alcuni contesti, forse meno in altri, ma va studiata e analizzata. Uncem lo propone da anni. L’arroccamento è TPL. Trasporto pubblico urbano. E si investano fondo nazionale e fondi regionali di conseguenza.

Non di meno rispetto all’oggi, ma di più. Vale per piccole e grandi stazioni.

Il titolo “Basta sci ovunque” è un titolo di giornale. E tutti sappiamo cosa sono e a cosa servono i titoli. Poi si va oltre. Si ragiona e si sceglie anche di andare oltre le semplificazioni. Altrimenti siamo ancora una volta perduti.

Non cadiamo nella trappola della semplificazione.

A chi dice, investendo solo là dove vi è neve, “allora si agevolano le grandi stazioni, i grandi comprensori, non i piccoli”, rispondo che non tiene in alcun modo questo ragionamento. Dipende cosa le stazioni, cosa le piccole o grandi vogliono essere. Come sono organizzate. Cito sempre il modello di Alagna e della Valsesia. Che hanno saputo trovare obiettivi e strategie. Bravi. Molto efficaci. Si può continuare e sono un modello. Ce ne saranno mille altri! Bene! Oltre demagogia, rotture pseudo-ambientaliste, chiacchiere. Alagna funziona. Può funzionare Usseglio poi, certo: ma cosa fa Torino per Usseglio?! Cosa fa la Città a 60 chilometri per il fondo di Groscavallo, lo sci alpino di Usseglio, il fondo bellissimo di Ceresole? Già.. cosa fa? Lo potrebbe come minimo promuovere. Riducendo ad esempio i costi degli spazi pubblicitari per quelle realtà locali (la formula giuridica si trova) che generano inclusione e crescita. Così fa la Città Metromontana. Promuovendoli con totem a Porta Susa, con manifesti sui palazzi in ristrutturazione, che Torino, Città o Città metropolitana, possono montare, pagare. Promuovere quello che è realtà locale. Vale anche per Cuneo con Roburent, Artesina, Prato Nevoso… e altre. Promuovere le interazioni, gli scambi, i flussi. Oggi nulla di tutto questo. Oggi siamo tutti con le mani tese a chiedere le risorse che mancano. Almeno dai paesi. Dalle Città, poco arriva per le aree montane, scarse proposte, scambio ridotto. Ma anche questa considerazione rischia di essere da tifosi, da bar. Occorre andare oltre. Concretamente. Con capitale umano che pensa e capitali economici e finanziari da investire. Sugli Hotel, Cassa Depositi e Prestiti può fare di più di quanto ha fatto qualche mese fa. Per migliorare strutture alberghiere alpine e appenniniche servono diversi miliardi di euro. CDP può starci. Gli imprenditori ci sono. Credito e fondo perduto, vanno generati e costruiti. Idem per l’arroccamento. In legge di bilancio vi sono 200milioni per l’aggiornamento e la messa in sicurezza (dopo Mottarone qualcosa abbiamo imparato). Investiamoli bene, servono, sono utili, interveniamo dove realmente serve, non essendo risorse infinite. [In legge di bilancio 2023: Commi 592-594, Fondo ammodernamento, sicurezza e dismissione impianti di risalita e di innevamento, con una dotazione di 30 milioni di euro per l’anno 2023, 50 milioni per l’anno 2024, 70 milioni per l’anno 2025 e 50 milioni per l’anno 2026, da destinare alle imprese esercenti attività di risalita a fune e innevamento, con l’obiettivo di realizzare interventi di ammodernamento e manutenzione. La misura mira altresì ad incentivare l’offerta turistica delle località montane. Le risorse previste possono essere destinate alla dismissione di impianti di risalita non più utilizzati o obsoleti]. 

Evitiamo di dar retta, in questa risposta alla crisi, ai lobbisti travestiti. In montagna ci sono come altrove. Ci sono negli uffici del Governo e nelle sale del Parlamento. Lobbisti che ignorano e che guadagnano facendo leva su certe decisioni. Vale anche per lo sci. Vale per tutti i comparti. E quello dello sci, del trasporto a fune, tra i più energivori, nel nostro Paese muove capitali e interessi. Muove contrapposizioni e logiche di scontro. Lobbisti più forti vincono. Fanno parte dei “cacicchi”.. delle logiche localiste e delle dinamiche campaniliste. Lobbisti campanilisti, classe peggiore.

Risorse economiche vanno attivate, indubbio. Statali e regionali. Il comparto turistico ha migliaia di addetti. Quando Ermete Realacci parla di transizione ecologica, mutuando la Laudato Si, dice che dovrà essere “desiderabile da tutti”. Ripensare a un sistema in crisi deve includere e non escludere. E anche qui va fatto con managerialità e Politica. Lavoratori stagionali e non, devono averlo il lavoro. Più lavoro, meglio retribuito. È tutto impossibile? È solo chiacchiera? Solo desiderata? È frutto di scelte. Penso al grande lavoro fatto da molti Consorzi turistici, da DMO, da Enti turistici di promozione per dire cosa sia un territorio, per dare nuovo lavoro, convertire lavori, dare competenze, competenze, conoscenze, ruolo alle persone. Rendere la transizione possibile e desiderabile. Per tutti. Anche per chi lavora a un impianto di risalita, o fa il gattista. Professionisti  veri. Che sono stati formati. Altri possono essere formati.

Alla base di tutto, vi è una necessità del Paese. Per la quale non bastano tante risorse o leggi, nuove o vecchie. Come l’Italia – anche d’intesa con altri Paesi europei – guarda alle aree montane. Luogo ove investire genera opportunità, ove un asilo nido ferma le famiglie, ove l’innovazione trasforma comparti produttivi, ove il turismo è un pilastro, anche nel quadro del cambiamento. Crederci vuol dire scegliere. Le Città sanno scegliere? Tutto è uguale a come era prima? E il Paese-Italia è per la montagna, oltre il 40% del territorio, una priorità? Si investe su turismo, arroccamento, sci, neve artificiale perché la montagna è centralità delle politiche? 200 + 200 milioni di euro sono sufficienti? Sono opportunità per il Paese? Cosa fanno altri Paesi alpini e Paesi europei con le loro aree montane? Deportano tutti perché è troppo difficile investire e starci? O si fa di più e di meglio del passato, qui?

Per tornare agli impianti di risalita, occorre valutare dove e come (farne altri e potenziare gli esistenti), oltre demagogia e facili luoghi comuni. Il dramma climatico che stiamo vivendo non lascia scampo. E con il Governo, con le Commissioni parlamentari che hanno specifica competenza, in sede istituzionale, è necessario un ragionamento oltre schemi e ‘si è sempre fatto così’. Fare come abbiamo sempre fatto, bene o male che fosse, su sport invernali, sci e innevamento programmato, turismo nelle Alpi e negli Appennini, potrebbe non avere senso di futuro, imbrigliando montagna e turismo in una strategia del passato. Noi vogliamo stare nel futuro. Senza rischiare di sprecare milioni e milioni di euro per un investimento a perdere nel bel mezzo della tragedia climatica che ancora qualcuno nega.

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