IL PNRR VERDE GRAZIE ALLE GREEN COMMUNITIES

Da agosto 2020 – ero a Marmora la sera che il Presidente Conte ha aperto la Conferenza Interministeriale degli Affari Europei, della quale Uncem fa parte, che ha iniziato il lavoro sul “Recovery Fund” – abbiamo messo la testa sul Piano di Ripresa e Resilienza italiano.

Da metà dell’anno scorso a oggi, l’attenzione di chi si occupa di vicende istituzionali è lì, su quel documento che orienta oltre 200 miliardi di euro di investimenti parallelamente alle riforme e al “Piano complementare” del nostro Paese. Quel documento, qualcuno l’ha inteso come somma di progetti, illudendo chi non ha colto la sfida vera che è di visione e opportunità per le nuove Generazioni, come prescrive Bruxelles. Che è contrasto alle sperequazioni territoriali, di genere, nord-sud, generazionali.

Uncem ha lavorato molto sui dossier del PNRR. Fino a presentare, a metà marzo 2021, un documento di oltre 300 pagine di analisi, proposte, indicazioni. Eccolo, per chi non lo avesse visto: https://uncem.it/wp-content/uploads/2021/03/PNRR-e-Montagna-mar2021-v2.pdf

Green e Smart sono due assi centrali del PNRR elaborato dall’Italia, trasmesso alla Commissione Europea a fine aprile. Sostenibilità e transizione ecologica (“ecologia integrale” se piace di più) e innovazione, transizione digitale. Due dimensioni fondamentali per i territori, per le zone montane del Paese. Che vogliono stare in queste due transizioni. E mentre sulla transizione verde già ci sono, sulla transizione digitale e sul contrasto ai divari abbiamo molto da fare. I 6,3 miliardi di euro per le reti banda ultralarga e 5G – dei quali ho avuto conferma direttamente dal Ministro Colao, oltre che ovviamente dal Piano varato dal Consiglio dei Ministri – sono decisivi per “non lasciare alcuno indietro”.

Nei giorni immediatamente successivi al dibattito parlamentare del 26 e 27 aprile 2020, e all’invio a Bruxelles del Piano, si sono susseguite una serie di considerazioni – in particolare di Associazioni ambientaliste ed ecologiste – sulle cose che mancano al PNRR. In particolare sul fronte “green”.

Ieri mi sono imbattuto su questo pezzo di Erasmo D’Angelis per Formiche.it. Eccolo: https://formiche.net/2021/05/pnrr-ambiente-dangelis/?amp

Fa finalmente una buona chiarezza in 10 punti. Il PNRR green. Un buon pezzo.

Ma voglio evidenziare qui, dopo questa breve introduzione, una questione che D’Angelis, giornalista ed esperto di pianificazione territoriale, politico acuto, che studia, non richiama nel suo pezzo. Una dimenticanza forse, ci mancherebbe. Nessuna colpa, anzi! Ci permette di fare un punto su un tema che vede Uncem impegnato e sul pezzo da quasi dieci anni.

Mi riferisco all’investimento 3.2 della Componente 1 della Missione 2. Le GREEN COMMUNITIES. (Plurale di Green Community).

In molti articoli sul PNRR, anche sul Sole 24 ore qualche giorno fa, sono state messe in luce, proprio loro, come una importante novità dell’ultima versione del PNRR. In realtà sono apparse e scomparse e riapparse nelle diverse edizioni del Piano da dicembre 2020 ad aprile 2021. Nella versione finale ci sono, con 140 milioni di euro di dotazione.

In 10 punti di seguito – Erasmo ti copio – proviamo a capire cosa sono e perché sono importanti.

1. Con le Green Communities finalmente attuiamo l’articolo 72 della legge 221/2015. Il PNRR dà corpo quel pezzo di articolato che molto Uncem aveva voluto e aveva lavorato – dal 2012 – per metterle anche a terra, in particolare con progetti nelle regioni meridionali. Erano solo una base. Dal Sud a tutto il Paese. E non solo per il Sud. Ma partendo da lì. Unendo territori, Comuni insieme, nel darsi una strategia che incrocia diversi elementi che vedremo. Punti fermi che sono stati inseriti, scritti in legge, nella 221, la prima legge italiana sulla green economy. Che molti hanno dimenticato e che non è in gran parte attuata. Era arrivata ben prima del “Green New Deal” europeo, di fatto però dando la cornice al Piano di Ripresa e Resilienza, quando di certo non ci aspettavamo la crisi pandemica. Era arrivata subito dopo il libro “Le sfide dei territori nella green economy” (il titolo dice tutto) curato e voluto da Enrico Borghi all’Uncem, insieme all’AREL di Enrico letta e tanti altri, come Giampiero Lupatelli, Fabio Renzi, Marco Mari… Un libro che ha aperto e definito un percorso politico che oggi, nel PNRR vede aggiungersi un tassello decisivo al mosaico culturale, istituzionale, politico, operativo. Ci abbiamo creduto e ora proseguiamo il lavoro.

2. Le Green Communites sono sancite e previste dalla legge. Non è una cosa banale, nel momento in cui proprio la politica e i politici si dimenticano cosa vi è scritto nelle leggi dello Stato. La legge 221 del 2015 è una legge nello Stato. Uncem e molti Amministratori locali la leggono insieme alla legge 158/2017 sui piccoli Comuni e al Testo unico forestale. Fanno bene. Perché queste tre norme sono un percorso. Sono insieme per il Paese. Sapevamo nel 2015 in Uncem – ed è il secondo punto –  che il Paese e tutto il mondo si trovano nel bel mezzo di una grave crisi climatica che impone sfide micro e macro, comportamenti individuali da modificare, al pari di grandi scenari globali da cambiare, come sancito dalla Cop21 di Parigi e successive, rafforzando e potenziando Kyoto. Lo sapevamo che tutto si sarebbe ancor più palesato negli anni a venire. Lo sapevamo ma non abbiamo fatto molto. E la Strategia delle Green Communities della 221, articolo 72, è rimasta lettera morta. L’abbiamo spinta culturalmente e istituzionalmente, raccontandola operando con. “progetti pilota”, ma poco si è fatto per una serie di motivi difficili da narrare in breve, ma anche per una difficoltà di “espressione e impressione politica” nelle Istituzioni centrali e regionali. Adesso la musica cambia. Ora, nel PNRR arriva una svolta con dotazione finanziaria e visione.

Giusto per ricordare, ecco cosa prevede l’articolo 72 della 221 del 2015:

La strategia nazionale delle Green Communities individua il valore dei territori rurali e di montagna che intendono sfruttare in modo equilibrato le risorse principali di cui dispongono, tra cui in primo luogo acqua, boschi e paesaggio, e aprire un nuovo rapporto sussidiario e di scambio con le comunità urbane e metropolitane, in modo da poter impostare, nella fase della green economy, un piano di sviluppo sostenibile non solo dal punto di vista energetico, ambientale ed economico nei seguenti campi: a) gestione integrata e certificata del patrimonio agro-forestale, anche tramite lo scambio dei crediti derivanti dalla cattura dell’anidride carbonica, la gestione della biodiversità e la certificazione della filiera del legno; b) gestione integrata e certificata delle risorse idriche; c) produzione di energia da fonti rinnovabili locali, quali i microimpianti idroelettrici, le biomasse, il biogas, l’eolico, la cogenerazione e il biometano; d) sviluppo di un turismo sostenibile, capace di valorizzare le produzioni locali; e) costruzione e gestione sostenibile del patrimonio edilizio e delle infrastrutture di una montagna moderna; f) efficienza energetica e integrazione intelligente degli impianti e delle reti; g) sviluppo sostenibile delle attività produttive (zero waste production); h) integrazione dei servizi di mobilita’; i) sviluppo di un modello di azienda agricola sostenibile che sia anche energeticamente indipendente attraverso la produzione e l’uso di energia da fonti rinnovabili nei settori elettrico, termico e dei trasporti.

3. Le Green Communities sono una “Strategia”. La Strategia non è un progetto singolo. Non è un programma. Strategia in Treccani è “scelta dei mezzi ritenuti più adatti a raggiungere gli obiettivi fissati dal marketing”, per l’economia. Strategia di sviluppo è “politica economica adatta a stimolare lo sviluppo di un paese o di una regione”. La Strategia ha dei confini, ma è in primo luogo pianificazione. Ogni Strategia territoriale, anche questa volta, sarà diversa sulla base delle esigenze di ciascun territorio, di ciascuna area. Saranno diverse perché i territori sono diversi. Avranno elementi che ritornano, ma che sono specifici. Target e numeri sono diversi. Ci sono dei punti di partenza, un’analisi swot ad esempio, e poi ci sono degli obiettivi. C’è una “fine” perché ci deve essere una scansione temporale che prevede una conclusione di appalti e investimenti, con rendicontazione, ma di fatto la Strategia resta, è continua e permanente. E ogni Regione deve fare una sola cosa. Una. Potrebbe immaginare di intervenire direttamente, dicendo cosa fare e cosa no. Niente di più sbagliato. Le Regioni devono informare le proprie legislazioni della Strategia delle Green Communities. Prevederle, renderla strumento di pianificazione. E non certo intervenire pesantemente, con i corpi burocratici a dire cosa ci sta e cosa si deve fare. Il perimetro è tracciato dalla legge nazionale. E le Regioni vere, che sanno cosa sia la pianificazione, si fermano alla pianificazione stesse. A prevederle, ad auspicarle. Punto.

4. Le Green Communities sono “leggere”. Devono essere leggere. Altre Strategie in passato, nate nel Paese, dovevano essere leggere e invece hanno incrociato troppe sacche di resistenza, rallentamenti, anche enti che hanno agito con poca leggerezza e troppa burocrazia. Sia nazionali sia regionali. Mai come oggi occorre permettere ai territori di esprimere esigenze e di coordinare le azioni. I piani di lavoro (come dal punto 5 di seguito) sono molteplici e complessi. Di certo, non è con la penna rossa che parte dal centro verso il foglio scritto in periferia, che le Istituzioni nazionali dovranno (e vorranno) agire nei confronti dei territori che costituiranno delle Green Communities. Non un controllo dal centro, tantomeno una dose alta di rigore, pur nel quadro della norma e di quanto il PNRR richiederà, a partire dalla fase di candidatura dei territori.

5. Questa è una misura per la Montagna. Le Green Communities nascono per le aree montane. Vediamo cosa scrive nel dettaglio il PNRR, che conferma:

Il Progetto intende sostenere lo sviluppo sostenibile e resiliente dei territori rurali e di montagna che intendano sfruttare in modo equilibrato le risorse principali di cui dispongono tra cui, in primo luogo, acqua, boschi e paesaggio, avviando un nuovo rapporto sussidiario e di scambio con le comunità urbane e metropolitane. Ciò verrà realizzato favorendo la nascita e la crescita di comunità locali, anche tra loro coordinate e/o associate (le Green communities), attraverso il supporto all’elaborazione, il finanziamento e la realizzazione di piani di sviluppo sostenibili dal punto di vista energetico, ambientale, economico e sociale.

In particolare, l’ambito di tali piani includerà in modo integrato (per 30 Green Communities complessivamente): a) la gestione integrata e certificata del patrimonio agro-forestale; b) la gestione integrata e certificata delle risorse idriche; c) la produzione di energia da fonti rinnovabili locali, quali i microimpianti idroelettrici, le biomasse, il biogas, l’eolico, la cogenerazione e il biometano; d) lo sviluppo di un turismo sostenibile; e) la costruzione e gestione sostenibile del patrimonio edilizio e delle infrastrutture di una montagna moderna; f) l’efficienza energetica e l’integrazione intelligente degli impianti e delle reti; g) lo sviluppo sostenibile delle attività produttive (zero waste production); h) l’integrazione dei servizi di mobilità; i) lo sviluppo di un modello di azienda agricola sostenibile.

La Strategia è per la Montagna è richiede un impegno degli Enti montani, soggetti pubblici e privati. Unioni montane di Comuni, Comunità montane. Che determinano un percorso insieme (articolo 13 della legge 158/2017 sui piccoli Comuni). Le Unioni montane e le Comunità montane operano sui temi previsti dalla legge 221 e dal PNRR lavorando attorno a una Green Communities che abbiano precisi obiettivi e strumenti di azione, investendo le risorse previste, ma non solo. Individuato il percorso, orientano diverse risorse e investimenti che già hanno o potranno avere (dai POR e dall’FSC ad esempio), mettendole sotto un unico processo, appunto nella loro strategia.

6. Le Green Communities sono comunità. Questa è la vera grande novità. La transizione green, energetica ed ecologica, si fa con le comunità. Non si fa senza e con delle facili imposizioni, con le intercapedini e con resistenze. Ripresa e resilienza sono il contrario. Le comunità nelle aree montane sono l’essenza e la sopravvivenza dei territori. Dove non c’è comunità, anche gli Enti territoriali rischiano di perdere destino e forza. Sono comunità “verdi”, cioé condividono la sfida ai cambiamenti climatica quale base del lavoro, i valori dell’ecologia integrata, dialogano internamente e decidono insieme. Hanno una forza dovuta alla storia e alle tradizioni. Si muovono superando barriere amministrative comunali, vanno oltre il “campanile”, perché nella dimensione di valle sanno di essere più forti e vere, nelle “Alpi aperte” (cit. Annibale Salsa) e nella valle in dialogo (non vogliamo “riserve indiane”, non ci servono).

7. Le Greeen Communities sono trenta ma si deve andare oltre. Sono trenta quelle previste dall’Investimento del PNRR, ma è chiaro che non possiamo fermarci qui. Non sono territori già previsti (c’è chi immagina che sia già tutto programmato, ma non è cosi). Il PNRR apre un percorso, prosegue quanto affermato dalla 221. Non è però solo questo l’obiettivo. Essere una “Green Communities” vale per tutte le attuali organizzazioni istituzionali sovracomunali, Comunità montane e Unioni montane. Sono una tensione e un quadro di riferimento, prima ancora che un investimento o più investimenti uniti. Dunque valgono per tutti, quale appunto Strategia di crescita, sviluppo, coesione e inclusione. Si deve andare oltre le trenta. La Strategia è per tutti.

8. Le Green Communities sono un “Progetto integrato”, al pari delle “Isole verdi”. Nel PNRR, le Green Communities si inquadrano nella Componente 1 “Economia circolare e agricoltura sostenibile”, della Missione 2 “Rivoluzione verde e transizione ecologica”. E si inseriscono subito dopo un altro importante investimento per il Paese, quello delle Isole Verdi, dotate di 200 milioni di euro. Molti degli elementi delle due operazioni, Strategie – isole e montagna – sono simili. E si uniscono ad altri Investimenti previsti dal PNRR, in particolare del “green”, missione 2, come le “Comunità energetiche” e le “Smart grid”. Finanziate e da leggere in piena continuità con i due investimenti dei quali stiamo parlando in questo ottavo punto. Sono in continuità anche con molti altri punti del PNRR, con altre Componenti e altri Investimenti. Scuola ad esempio, efficientamento degli edifici, trasporto con mezzi a idrogeno, Strategia delle Aree interne, ITS per la formazione post-obbligo… Perché il PNRR si legge in percorsi e non in verticale. Lo vogliamo e dobbiamo leggere in orizzontale. Unendo i punti di ampie Strategie per i territori montani, sulle quali formare Amministratori locali e portatori d’interesse. È il nostro compito.

9. Le Green Communities impegnano soggetti pubblici, privati, università e terzo settore. Tutti questi soggetti operano insieme, lavorano insieme. Superano steccati e anche certe ridigità per pianificare e definire percorso e obiettivi. Cooperano insieme, nella comunità appunto, per raggiungere gli obiettivi. Un esercizio di democrazia, di nuova sinergia preziosa per i territori montani. E anche in particolare per i piccoli Comuni. Le imprese possono trovare nelle Green Communities punti di legame con investimenti e prodotti che realizzano. Le Università scoprono nuove traiettorie e elementi formativi, educativi. Il terzo settore, il volontariato organizzato, ma anche datoriali e corpi intermedi, uniscono le forze e la capacità organizzativa, culturale, di azione. Vanno oltre la conservazione e il pregresso, il certo e l’immobile. Innovano.

9bis. C’è un punto ulteriore. E va collegato al precedente. Questi soggetti insieme – pubblici e privati – costruiscono innovazione. Le Green Communities sono anche Smart communities. Sono Smart e Green Communities. Lo avevamo detto come Uncem nel 2015, lavorando sull’evoluzione del concetto di Smart Villages e Smart Land, aggiungendo appunto il concetto di comunità, già espresso qui sopra. Mai come oggi è vero. Lo sappiamo. Perché non vi è sostenibilità senza innovazione e viceversa. Dobbiamo lavorarci insieme. Con tutti i Ministeri e tutto il Governo. Leggere così il PNRR per i territori. Non è vero che non vi è un destino, in questo Piano: D’Angelis spiega perché è green. Ma la specifica Missione 1, unita alla Missione 2, le risorse per innovare e per rendere più. green non sono cosa diversa. Sono una sola cosa. Perché vanno portate, queste Missioni, sui territori. E green è anche smart. I nostri Sindaci e Amministratori lo sanno bene. Perché senza reti non si fanno rinnovabili ed efficienza, senza essere smart non si trasformano e rendono più competitive le imprese forestali o dell’edilizia. E viceversa. Ci crediamo. Occorre costruire questo forte legame.

10. Le Green Communities si alimentano e plasmano. Deve essere così per tutto il PNRR. Il traguardo sarà pur al 2026, ma quando le risorse saranno tutte spese e rendicontate, non è certo lì che finisce tutto. Il PNRR si deve alimentare in fondi di investimento, in green ed euro bond, in strumenti finanziari che generino investimenti europei. Così come nella Programmazione comunitaria del settennio che partirà nel 2023. E che potenzierà rilanciando investimenti dei Piani nazionali di Ripresa e Resilienza. Di questi aspetti, molti parlano e si sa. Ma c’è un altro fronte di “alimentazione” delle strategie e delle policies del PNRR varato dall’Italia. Ne presentiamo uno. Complesso ma avvincente e concreto. Le Green Communities continueranno a vivere, a crescere a muoversi sui territori grazie alla valorizzazione dei Servizi ecosistemici-ambientali. Serve infatti un cambio di paradigma. Proviamo a spiegare perché. Le risorse economiche – 140 milioni di euro – del PNRR sono il motore della Strategia delle Green Communities. Vero. Che poi avrà bisogno di essere ulteriormente alimentato. Non solo con altri finanziamenti che leggi di bilancio o implementazione dello stesso Piano di Ripresa e Resilienza. Questa misura, queste aree, sono quelle dove sperimentare e rendere strutturale la valorizzazione e il pagamento dei servizi ecosistemici-ambientali (legge 221/2015, articolo 70, due articoli prima, con in mezzo le importantissime “Oil Free Zones”). Dove avviare un nuovo rapporto tra chi produce e chi consuma i beni naturali, i beni comuni, tra chi prende e non restituisce. Vale anche per le grandi infrastrutture, viarie e ferroviarie che attraversano i territori, tra boschi, paesaggi delle aree montane. Quali servizi che svolgono i territori sono da “valorizzare”? Li riconosce la legge stessa. Eccoli:
– fissazione del carbonio delle foreste e dell’arboricoltura da legno di proprietà demaniale, collettiva e privata;
– regimazione delle acque nei bacini montani;
– salvaguardia della biodiversità delle prestazioni ecosistemiche e delle qualità paesaggistiche;
– utilizzazione di proprietà demaniali e collettive per produzioni energetiche;
– interventi di pulizia e manutenzione dell’alveo dei fiumi e dei torrenti;
– l’agricoltura e il territorio agroforestale, il territorio gestito, remunerando gli imprenditori agricoli che proteggono, tutelano o forniscono i servizi medesimi.
E chi sono i beneficiari di questa valorizzazione? Lo scrive sempre la 221: “i Comuni, le loro Unioni, le aree protette, le fondazioni di bacino montano integrato e le organizzazioni di gestione collettiva dei beni comuni. Dando delle premialità ai Comuni – dunque uniti nelle Green Communities – che utilizzano, in modo sistematico, sistemi di contabilità ambientale e urbanistica e forme innovative di rendicontazione dell’azione amministrativa.
In questo processo – il legame tra Green Communities e Valorizzazione dei Servizi Ecosistemici-Ambientali – c’è un altra importante novità del PNRR per costruire la “transizione ecologica ed energetica”. Processo necessario. Che serve al Paese più green. E so che Erasmo D’Angelis ne è convinto insieme con Uncem.

Nessun commento

Il form commenti è chiuso al momento.