LE ALPI NON SONO UN INGOMBRO. TORINO DIVENTI UNA CAPITALE ALPINA E INVESTA NELLE TERRE DI MEZZO

Su Repubblica del 5 marzo 2021, una mia riflessione sul ruolo di Torino. Verso le elezioni e la ripartenza

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Quando Rinaldo Bontempi, alla vigilia delle Olimpiadi del 2006 aveva ripetuto che Torino doveva essere una “capitale alpina” europea, erano stati in pochi a credergli. L’europarlamentare che era vicepresidente del Comitato organizzatore non aveva anticipato i tempi, anzi. Quando le previsioni non avvengono è facile bollinare quelle idee come troppo visionarie. Non è così. Bontempi aveva detto quello che andava fatto per costruire una città unita ai suoi territori, usando mezzi, risorse, opportunità dei Giochi invernali. Quasi nessuno lo ascoltò e quello che Torino non ha fatto negli ultimi venticinque anni è proprio quello che oggi servirebbe di più.

La crisi climatica e, nell’ultimo anno, la crisi pandemica hanno ricollocato spazi e luoghi e messo in crisi il ruolo centrale delle grandi aree urbane, sia al loro interno – aprendo ulteriori fratture tra centri e periferie – sia all’esterno, imponendo di guardare a quel che c’è fuori. Che l’Italia fosse il Paese dei paesi, dei campanili e della urbanizzazione diffusa, lo avevano ripetuto in molti, compreso Bontempi che chiedeva slancio e coraggio. Per mettere in relazione il capoluogo e le sue valli. Cambiare prospettiva per lui voleva dire smettere di vedere il pezzo di Piemonte alpino solo come luogo di svago, di divertimento e di sport. Evitare di vedere le Alpi “parco giochi” e le Olimpiadi mero evento da tv, medaglie e sponsor. Non ci siamo riusciti ma quella fiamma non è spenta.

Quando è arrivata la “Città metropolitana”, nel 2014, a sostituire la cara “Provincia”, sono stati in molti a gridare allo scandalo. Impossibile mettere insieme Crocetta, Vallette, Barriera con Balme, Traversella e Bobbio Pellice. A guardarlo bene, questo pezzo di Europa è invece uno straordinario laboratorio di politiche. Non ha pari in Italia e nel vecchio continente. È difficile da interpretare questo territorio di 310 Comuni dove il più piccolo Comune ha 40 abitanti e il più grande 850mila. È emblematico per il Piemonte, così composito e ricco di “territorialità”, è uno spaccato di Italia che ha sempre generato innovazione proprio nelle relazioni. In Piemonte è nata la politica per la montagna, negli anni Cinquanta.

Torino che va ad elezioni – è bene ricordarlo – elegge anche il “Sindaco metropolitano”, come si chiama ora il “Presidente della Provincia”. Come potrebbero, candidati ed eletti, non costruire le loro scelte, le loro proposte senza guardare ai territori? Ed essere consapevoli che il capoluogo alpino oggi necessario non è solo. È con Pinerolo, Ivrea, e poi Cuneo, Saluzzo, Biella, Vercelli… nel costruire un patto con i territori, con le valli che convergono sulle città. Il patto è istituzionale: nell’impegno della Città Metropolitana (e prima ancora della Regione) a investire risorse per le “terre di mezzo”, le zone rurali e montane nelle quali garantire un adeguato livello di servizi – scuola, trasporti, sanità – così da permettere a chi vive nei Comuni montani di poterlo fare senza scappare. E a chi vuole trasferirsi – per trovare spazi e benessere, luoghi e identità – di farlo senza rimpianti e illusioni. Torino “capoluogo alpino” non considera Sestriere o “Bardo” proiezione di un quartiere urbano. Riconosce che nelle valli alpine piemontesi che la avvolgono ci sono acqua, foreste che assorbono anidride carbonica, persone e imprese che proteggono con la loro presenza i versanti, filiere agricole e manifattura di alta qualità. Queste “presenze” hanno un prezzo. Si pagano. Chiamiamoli finalmente “servizi ecosistemici-ambientali” che la città utilizza. Ne beneficiamo tutti di 1 milione di ettari di bosco in Piemonte e di migliaia di imprese agricole. New York, con l’acqua che viene garantita alla Grande Mela dalle montagne, lo fa da decenni. Paga per proteggere le fonti.

Non servono retorica e promesse. Non si va nei borghi a vivere (o a telelavorare) se questi non sono forniti di opportuni servizi. Torino non può chiudersi nel trasporto pubblico da Caio Mario a corso Romania o nella linea in più della metro. Il Sindaco della Città faccia con i Sindaci dei paesi la battaglia per riattivare (e potenziare) le ferrovie delle aree montane che sono state chiuse negli ultimi anni – troppe e senza logica – e al posto di guardare a Milano, guardi a Cuneo. Nel ponte ferroviario con Lione, necessario, non bypassi le valli. Cioè che sta in mezzo – le Alpi – non sono ingombro.

Gli spazi per i confronti dei “centri decisionali” ci sono. La Città Metropolitana è spazio da riaffermare. Lo è anche Uncem quale Associazione che ribadisce tre urgenze.

La relazione è territorio, comunità più unite e meno fragili.

Le Alpi sono cerniera e hanno un “ruolo ambiental-politico-culturale” che le Istituzioni per troppo tempo non hanno voluto vedere.

Per far uscire dall’isolamento il Piemonte non bastano un’idea o uno slogan. Sindaci e loro comunità, dei Comuni piccoli e polvere, chiedono uno sforzo in più a Torino. Punti sulle Alpi per essere se stessa.

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