TREIA E L’ISTITUZIONE CHE DEVE RINASCERE

Se una cosa il Festival della Soft Economy ci dice – durato tre giorni, a Treia, cuore delle Marche, dal 16 al 18 novembre – è che abbiamo bisogno di Istituzioni. Aldo Bonomi ci aggiunge “della comunità”, e dunque “piattaforme”, e scambi, e relazioni. Ma prima di tutto di Istituzioni che il Paese non ha più. Ha infragilito, ha volutamente perso, ha distrutto, non ha sostenuto. Non contenitori, ma Costituzione, non solo Comuni e neppure “semplici” e abusate “comunità”, senza un ridisegno delle geografie di quanti svolgono funzioni pubbliche e che devono essere in relazione tra loro. Le Istituzioni sono Comuni che agiscono e pensano insieme, Sindaci che operano con fiducia reciproca, dinamiche di ascolto e interazione tra livelli diversi di governo dei territori che non si perdono nella burocratica disperazione in cui molti sono finiti.

Treia identifica una serie di urgenze del Paese – ne dico tre: la gestione della terra e della proprietà fondiaria, il riordino del sistema degli Enti locali, la relazione tra PA e imprese, maggiore e migliore. Non monta retorica, il Festival promosso da Symbola con Uncem e tanti amici, su come si affrontano crisi climatica, energetica, sociale, demografica, economica negli Appennini e nelle Alpi, ma mette sul tavolo una serie di immagini concrete di paesi-in-azione e una serie di norme – che esistono e di per sé non ne servirebbero di nuove – per stare nelle trasformazioni ed essere trasformazione. Le immagini, i selfie che molto piacciono a Ermete Realacci, Fabio Renzi, Domenico Sturabotti, Paolo Pigliacelli, sono quelle delle 197 Green Communities italiane che stanno unendo idee e progettualità per superare i campanilismi e lavorare insieme. È una semplificazione, me ne rendo conto, per dire che le Green Communities sono piattaforma – non ancora “istituzioni della comunità” – ma anche rappresentazione che vince rancori, solitudini, abbandoni, incazzature, scaricabarile, assenza di qualità. Abbiamo le norme che orientano questo percorso. Le abbiamo già, tutte da attuare: la 158 sui piccoli Comuni (che Ermete, Enrico, Raffaella e diversi altri Parlamentari hanno costruito con una immensa fatica, che ha vinto sulle resistenze – poi ritornate becere e cariche di ignoranza nel recente bando che assegna le risorse di quella legge, tradendola); la 221 che genera la green economy prima di New Bauhaus e Green New Deal, introducendo appunto le Green Communites per la decarbonizzazione che diventa democratica e partecipata; il Testo unico forestale che ha una avanzata Strategia in partenza.

A Treia abbiamo detto in tanti che tutto questo è possibile. Ma serve uno scatto. Del Governo, delle Regioni, degli stessi Enti locali, del sistema delle imprese. Mi ha colpito il DG della Presidenza del Consiglio Giovanni Vetritto quando ha spronato i Comuni e i Sindaci a un nuovo impegno. Dal Basso. Se l’Alto in 25 anni non ha prodotto costruzione e fiducia nelle e tra le Istituzioni. “Tocca a voi, evitiamo nuovo tempo perso, dopo due decenni e mezzo”. Perché, ad esempio, quella rappresentazione territoriale delle Green Communities, finanziate e non, ha bisogno di una nuova determinazione che nasce dai territori. Senza organizzazione istituzionale non si va lontano, non vanno lontano. Spenderanno dove c’è da spendere, ma serviranno a niente. Le Green Communities non sono nuovo Ente locale. Ma se i Comuni non consolidano il loro lavorare insieme, non in modo effimero e occasionale, non temporaneo o localista, anche la migliore Strategia si incaglia. Con le Aree interne lo abbiamo già vissuto. Registrato con sofferenza.

Come i Comuni lavorano insieme è oggetto del “Sinodo dei territori”. Nessuno ha la risposta precisa per un processo difficile e finora disomogeneo. Chi nega che i problemi dettati dalle crisi climatica e demografica abbiano ripercussione anche sull’organizzazione dello Stato, a livello centrale, regionale e degli Enti locali, sbaglia. Si guardi attorno. Vada a Treia o a Macra. A Staiti o Pieve di Cadore. Non va tutto bene così come è sempre stato e non basta qualche maquillage del Testo Unico degli Enti locali. I diritti di cittadinanza da ripensare nella loro concretizzazione portano dietro la sinergia tra campanili profonda, nuova e solida. Sono sempre di meno quelli che si girano dall’altra parte. Chi nasconde il problema o lo abbatte, non sa bene cosa siano i territori alpini e appenninici, cosa stia succedendo lì dentro, come sono finiti i Comuni in questo quadro. Parlare di un Sinodo ha il rischio di farsi capire da un’élite, mi è stato detto. Vero. Non è da correre, perché farsi capire da molti è difficile e quantomai necessario. Un Sinodo è uno strumento pop e per tutti, di ascolto e dialogo in primis. Quello che vorremmo generare a partire dalle scuole. Cosa pensino dei territori, della PA, dello Stato, di noi, gli under 30 nessuno (di noi) lo sa. Dove vanno e perché vanno o restano è il pezzo centrale di un ripensamento, anche delle istituzioni. Le comunità che finiscono per non esistere più nel 66% dell’Italia che è montana e rurale – fa quasi sorridere pensare a nuove grandi e magnifiche classificazioni comunali quando le sfide e le necessità, anche imposte dalle geografie, stanno altrove – si rigenerano se capiamo come – dico una su tutte – la scuola è per i territori e sui territori. Come incrocia le esigenze di sta lì oggi e poi forse non più. In sostanza, la forza di questo percorso è non essere perso nelle certezze. Come quelle che affermano: “con più soldi” staremmo meglio, con una “fiscalità diversa” avremmo risolto tutto, con una nuova legge che agisce su fisco, tasse e imposte tutto si salverebbe. Fosse semplice. In chiave europea, la lettura territoriale e comunitaria verso le elezioni che comporranno il nuovo Parlamento di Strasburgo, è articolata e non retorica, parte da una bella e nuova rappresentazione diversa dal passato – le Green Communities la incarnano – e incrocia le forze di territori nuovi che, staccandosi da ciò che è già finito, producono risposte al cambiamento.

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