IN GUERRA E DOPO LA GUERRA. LA MONTAGNA
La montagna in guerra e dopo la guerra è il libro di Meuccio Ruini che vale oggi la pena di rileggere nella riedizione [Consulta Librieprogetti, 2023] a cura dell’Archivio Osvaldo Piacentini del volume edito nel 1919, con aggiunta di prefazione di Marco Bussone e di postfazione di Giampiero Lupatelli. L’opera accoglie gli scritti di Ruini nelle fasi di approvazione della nuova legge sul riordino della montagna e delle foreste italiane.
Un testo da avere, da conoscere.
Di seguito la mia prefazione.
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Può sembrare piuttosto improprio confrontare vecchie pagine di analisi e approfondimenti su economia, territori, società, guardando a quello che succede oggi. Come sono vietati i confronti tra culture diverse dello stesso tempo, ancor più cauti e moderati occorre essere nel guardare a testi di un secolo o mezzo secolo fa. La tentazione di fare paragoni, del semplificare quel “sembra scritto oggi” massimalista, di cercare moniti ed esempi buoni per le sfide odierne, è fin troppo semplice. Quanto errata. Eppure di fronte a un deputato che scrive una attenta analisi su montagna e montanari, un secolo fa, mi fermo a riflettere sulla bellezza dello stupore nel leggere.
Della prima e della seconda Guerra Mondiale sappiamo tutto e illustri Storici hanno approfondito sacrifici e ruoli, alleanze, vittorie e fallimenti. La montagna che ha visto nelle due guerre un sacrificio di uomini, presi dall’esercito (prima della fuga verso le fabbriche delle città), è solo in parte stata indagata. E così, delle dinamiche sociali e culturali, economiche e antropologiche del Novecento nelle Alpi e negli Appennini resta non molto, approfondito e studiato.
Meuccio Ruini non fa solo un focus sugli anni che vive. Ruini si pone delle domande. E se le risposte non sono mai le medesime nel corso della storia, le domande sul senso di alcuni processi ritornano tra i tempi. Quella relativa al modello di sviluppo è carica di fascino e senza retorica. La montagna per i montanari, ma anche – già allora! – la necessità di legami con le città, con i centri dei poteri e delle opportunità che le valli non possedevano, l’organizzazione delle terre coltivate e delle foreste. Di fatto una analisi sulle profonde relazioni tra uomo e suo territorio, in una possibile sostenibilità che è un concetto entrato nel dibattito solo 90 anni dopo quel testo. Il discorso sulle foreste – del quale dicevo mi stupisco e ci sorprendiamo per la profondità di analisi, scientifica e frutto di studio, non certo comune oggi tra rappresentanti istituzionali – è capace di introdurre quelli che chiamiamo “servizi ecosistemici-ambientali”, ovvero quali siano le migliori forme di gestione del Patrimonio (forestale), a vantaggio di tutti. È un Parlamentare-scienziato e dottore forestale de facto, Ruini. Descrive aspetti che confermano come nella Storia l’Italia sia stata sempre “Paese forestale”.
La Guerra apre un ragionamento acuto sul senso dello Stato, quello che andrà verso il Fascismo, un’altra Guerra, la Resistenza che parte dalle montagne. Ma per Ruini lo Stato è attivo nell’accorciare sperequazioni – mi sento di dire, con termine non di allora – che investe laddove non arrivano infrastrutture. E poteri. Sarà così nuovamente negli anni Sessanta. Deve essere così anche oggi. Perché le dimensioni democratiche non mutano nel loro dna, si evolvono con le donne e con gli uomini che operano e tengono in vita i territori. Quelli che Ruini esamina per il suo discorso su agricoltura, foreste, distinguendo anche la “media montagna” chiedendo per essa il riconoscimento della peculiarità. Sono gli stessi elementi del dibattito parlamentare di quella notte del 1943 nella quale la Costituente scrisse l’articolo 44 della Costituzione. La ricostruzione del 1919 come quella dopo il 1945 vede concentrare interessi sulle aree urbane, mettendo sullo sfondo le montagne. Ruini non lo accetta e nel testo oltre che nell’articolato d’appendice ribadisce che ricostruire un sistema di regole e di regolazione – di interazione – è necessario come e più del rifacimento materiale degli edifici. Ruini di fatto apre percorsi, prima di altri, su un nuovo spazio per le montagne nel discorso pubblico e nelle Istituzioni, che poi sarà più chiaro all’inizio della Repubblica, per entrare in percorsi pieni di luci e ombre fino ai giorni nostri. Impariamo dalla sua tenacia e dalla capacità di essere uomo del dialogo e del territorio, dunque Politico.
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