CHIESE E DIOCESI FUORI DALLE CITTA’. RELAZIONI MONTANE E URBANE, ALL’INSEGNA DEL DIALOGO [SINODALE]
Bruno Andolfatto e Carmen Taglietto, bravi capiredattori del Settimanale diocesano La Valsusa, mi hanno chiesto qualche giorno fa una riflessione sui legami, sul ruolo territoriale delle Diocesi. Torino e Susa insieme, città e paesi più uniti. Un solo Vescovo, due sistemi, ma comunità che hanno bisogno di relazione.
Ecco qualche riga.
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Definire flussi, interazioni, legami. L’area metropolitana torinese, la città capoluogo e la sua cintura di 40 grandi Comuni non è naturalmente in dialogo. Quelli che sembrano rapporti consolidati tra grandi centri con Torino, da San Mauro a Moncalieri e Trofarello, passando per Venaria, Collegno, Rivoli e tutti gli altri, sono rapporti tutti da costruire. Potrebbero sembrare scontati, tra oltre 1,2 milioni di abitanti in una zona urbana senza soluzioni di continuità tra diverse amministrazioni comunali, ma invece non lo sono. Non vi sono stabili tavoli di lavoro, di dialogo, di programmazione. Torino fa la sua programmazione, i suoi progetti, il suo piano urbanistico, e così fanno ciascuno degli altri Comuni. Viene da sorridere a pensare che le circoscrizioni che confinano con un altro centro municipale, tra i quali le case distano meno di dieci metri, non si parlano e non hanno uno stretto rapporto. Fa quasi ridere la facile considerazione fatta in passato da taluni politici, per cui “si fondano i piccoli Comuni della Val di Susa e Valli di Lanzo”… e questa apparentemente soluzione, facile quanto inutile, viene da un consigliere comunale o da un Sindaco di un grande Comune di un’area metropolitana che non pensa mai alla ben più facile soluzione di una fusione tra capoluogo e centri limitrofi. Vale per Milano, Torino, Palermo, Bologna. Ove le fusioni amministrative avrebbero ben poco impatto sui cittadini e sui servizi a loro garantiti da quell’Ente nuovo.
Uscendo dalla prima cintura ci sono le aree agricole, rurali, interne, montane. Termini diverse per definire un contesto territoriale di tanti Comuni medi e piccoli, come quello della Val di Susa, delle Valli di Lanzo, del Canavese e delle Valli Torinesi. Comuni che riuniti in Unioni montane di Comuni – almeno in Piemonte – hanno come non mai l’esigenza di lavorare insieme, collaborare, definire interazioni, tra loro e non solo. Se guardano al loro interno, sono spacciati. Ma anche se Torino guarda dentro le sue “mura”, i suoi confini, e pensa di bastare a se stessa, va poco lontano. Già alla vigilia delle Olimpiadi, Uncem, l’Unione dei Comuni montani, lo aveva sostenuto. Creia
mo legami, interazioni, patti. Comuni delle Valli insieme, in primis, punto centrale – con i Comuni grandi delle cinture urbane e con il capoluogo. Vale per gli Enti locali, vale per le parrocchie, vale per tutte le istituzioni. Da soli non ci si salva. Le parrocchie da sole vanno poco lontano. E Torino, la stessa Diocesi all’ombra della Cattedra di San Massimo, non può pensare di avere nella città capoluogo l’unico riferimento culturale, organizzativo, istituzionale. Diocesi come Province e altri soggetti istituzionali, tutte le organizzazioni, trovano valore oggi se vedono nelle reti lunghe e nei flussi -per dirla con Aldo Bonomi – gli strumenti per unire piattaforme, ovvero paesi e città. Non da soli i primi o i secondi. Insieme sono forti e la percezione di questa rete, di questi legami, delle esigenze diverse e complementari – che i numeri elaborati esprimono efficacemente – deve essere resa palese, pubblica, raccontata, evidenziata anche nelle scelte organizzative. I problemi e le sfide, le opportunità delle città sono anche delle aree rurali e dei piccoli Comuni montani. E viceversa. C’è una necessità di interazione che va espressa e potenziata. Deve farlo in primo luogo chi ha responsabilità pubbliche con una narrazione meno urbanocentrica. Perché Torino, anche la Diocesi di Torino, non si salva nei confini di Torino, città. Si unisce, rafforza, potenzia se guarda all’innovazione che viene dai paesi insieme. E in questo dialogo elabora futuro.
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