DA SAN SECONDO A “SANTI INSIEME”. PER NON LASCIARLO SOLO
I SANTI CAMMINANO CON NOI.
È il titolo che si può dare all’omelia di don Giulio Liverani, pronunciata all’ambone della chiesa di Vallo il 21 ottobre 1986. Lui, ceramista faentino, amico storico di don Vincenzo, missionario in Brasile, ha realizzato una serie importantissime di ceramiche “carismatiche” per la parrocchiale intitolata a San Secondo. Le produceva nel suo laboratorio, le portava a Vallo a pezzi e li montava con l’aiuto di Valeriano, diacono indimenticato, e di amici volontari. Poi alle 18,30 raccontava quelle ceramiche nella messa. In un condensato di sapienza e luce. Proprio come quella che si staglia sulle ceramiche.
Nel giorno della festa liturgica di San Secondo, rileggere quel testo di 25 anni fa, è prezioso e ancora una volta illuminante. Eccola di seguito. Da San Secondo… a “Santi insieme”. Una tensione che don Giulio racconta con grande efficacia.
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Nella ceramica situata nella cappella del coro abbiamo valorizzato il patrono della chiesa, S.Secondo, ma non lo abbiamo lasciato isolato perché il grande pericolo dei santi è di essere messi in una nicchia e venir lasciati lassù con una candelina vicino. Così noi siamo di sotto e non arriveremo mai alla loro altezza.
Invece i santi sono in mezzo a noi, i santi camminano in mezzo a noi, e noi camminiamo con loro. Purtroppo la santità della chiesa è rimasta per molto tempo come patrimonio di alcune rare persone, invece non era questa la volontà di Dio perché la nostra vocazione è la santità.
Dio non ci ha fatto tutti uguali; quindi ho capito che devo essere io S.Giulio, ciascuno di noi ci metta il suo nome e cognome, perché è per questo che siamo stati creati. Piano piano capiamo che i santi sono questi compagni che Dio ci ha messo vicino per dirci che si può, non sono dei supereroi della televisione, sono invece delle persone normalissime.
Noi siamo un popolo di Dio e siamo un popolo santo e peccatore e più riconosciamo la nostra caducità, la nostra povertà, più Dio trova spazio dentro di noi e ci fa santi. Al contrario più ci mettiamo davanti a Dio impettiti e diciamo di non aver bisogno di Lui, più ci allontaniamo dalla santità.
Ecco allora, abbiamo scelto alcuni santi, perché più vicini a questa comunità, ma tutti i santi hanno in comune questa semplicità, questa normalità.
Questo è il pensiero dominante della sinfonia di persone che abbiamo messo lì intorno a S.Secondo. Abbiamo costretto S.Secondo a mettersi tra di noi anche se era un santo lontano da noi.
In basso, alla base di tutto c’è un santo moderno che si chiama Padre Kolbe ucciso in un campo di concentramento con una siringa di veleno. È in adorazione, ha il filo spinato che lo lega ed è immerso in un campo di grano. Perché il campo di grano? Perché non si arriva alla santità se non morendo a noi stessi. Il chicco di grano che muore dà frutto; se vogliamo farci santi dobbiamo dare la vita. Sappiamo che Padre Kolbe si fece uccidere al posto di un papà di famiglia che aveva 6 bambini ed era stato condannato a morte. Era arrivato al punto di dare la vita ma continuava a pregare nella sua cella, è per questo che l’ho messo con le braccia alzate e legate dal filo spinato.
Ecco che allora il fondamento della santità è questo ed è bene metterlo alla base di tutto.
Sopra Padre Kolbe, incontriamo Santa Teresa vista nel suo volto splendente, nella contemplazione della sua vita. Era una grande mistica, quindi quegli occhi socchiusi ci dicono che lei vedeva Dio, perché l’aveva dentro. Aveva capito che nella realizzazione del suo essere donna lei si faceva santa. La vera donna è proprio quella che capisce il disegno di Dio su di sé e su questo fondamento Santa Teresa creava la consacrazione religiosa e in questo senso faceva eco a Maria.
Sopra di lei c’è una santa della gioventù che si chiama Santa Maria Goretti, con dei fiori in mano, perché lei prima di morire aveva mandato a dire a quel ragazzo che l’aveva accoltellata “ti manderò dei fiori dal Paradiso”. È il perdono portato all’estremo, come Gesù sulla croce; e questa è santità.
La santità è un viaggio, e andando avanti ho scelto un personaggio che può essere tutti noi, questo personaggio è un uomo anziano con il bastone, Igino Giordani, che sta arrivando alla fine della sua vita, sta arrivando alla fine del viaggio, ma sorride, come dire “Ecco ce l’ho fatta”. Ecco la gioia di poter, dopo aver dato tutto, ritornare nella pace di Dio; quindi questa persona anziana si trascina 2 bambini, un bambino e una bambina, che rappresentano le generazioni dei cristiani; i più anziani che con la loro vita e il loro esempio devono trascinare i giovani; noi siamo legati come una catena.
A destra, tutto immerso in una campagna molto soave, molto delicata, abbastanza vicina alle vostre campagne troviamo l’inno “opere del Signore benedite il Signore”. E in questa grande benedizione abbiamo messo un santo che è come il santo della natura: San Francesco. È un santo che ha avuto dentro sempre l’universalità di tutta la creazione; cioè tutta la creazione era sorella e fratello: sorella luna, fratello sole fino ad arrivare a dire che anche la morte era nostra sorella corporale. Sorella morte, pensate che visione grande aveva questo santo.
San Francesco con le braccia alzate è come se nascesse da questa sinfonia della natura: è come in una trasparenza.
Gli smalti che abbiamo usato questa volta non sono potenti, sono tutti trasparenti come pastelli che indicano che il nostro santo viaggio è tutta una trasparenza, dobbiamo essere come trasparenti, non avere opacità, non avere contrasti o almeno sforzarci. Come San Francesco dobbiamo vivere a pieno la parola di Dio “Beati i poveri”, una povertà assoluta, un vero vuoto di sé, dalle cose alle persone. Francesco voleva essere povero di tutto per essere ricco in Dio.
Poi dall’altra parte, a sinistra di San Secondo iniziano i grandi santi: uno dei Santi più forti della chiesa è stato San Vincenzo, da lui sono nati i Vincenziani e la conferenza di San Vincenzo che si occupa di tutte le opere di carità della chiesa. San Vincenzo rialza un povero giovane, questo giovane è il grande urlo delle persone abbandonate. Vincenzo è l’uomo che va a cercare i fratelli ultimi, coloro che veramente sono senza voce.
A lato di San Vincenzo inizia tutta la parte dedicata ad una preghiera cara alla Madonna: il rosario; la catena del rosario ci lega a Bernadette lì in primo piano con la sua corona e sotto di lei 2 mani piene di rose con un rosario. Bernadette ha capito Maria, ha capito cosa vuol dire essere strumento di Dio, non ha avuto paura di niente e quando è finito il suo momento si è cancellata e si è ritirata nel suo monastero e lì sta la grande santità.
La stessa corona ci lega anche ad una persona anziana, che è quella che in Italia ha diffuso la devozione del rosario, Bartolo Longo. Il rosario non è un punto di partenza della vita cristiana ma è un punto di arrivo. La persona con le braccia alzate sopra Bartolo Longo simboleggia la preghiera che s’innalza al cielo e che non è solo tranquillità, ma rappresenta anche l’uscita dalla disperazione.
Poi andando su, ecco che dal gesto della preghiera di questa persona che cerca aiuto esce il Cardinal Ballestrero.
Il nostro Cardinale che benedice la città e con gli occhi socchiusi prega per lei, per tutti i suoi problemi ed è sostenuto dal grande volto di uno dei santi più cari a Torino e a tutti noi: San Giovanni Bosco.
Lo conosciamo tutti, l’uomo che ha dato a Torino il timbro del servizio specialmente verso i ragazzi, verso coloro che rappresentano il futuro. È il santo frutto di queste terre, l’ho voluto fare molto grande perché ne vale la pena, era veramente un grande santo e sotto di lui, visto che non siamo fuori della storia ecco “noi per la vita”. Questo bambino che cammina col suo vestito con 2 fiori, come usano nei cortei, con la scritta ”noi per la vita” in contrasto con l’ombra della guerra atomica raffigurata in quel mascherone che appare accanto a lui, l’unica macchia nera nel quadro e alla destra del bambino un altro grande male, un po’ la peste del nostro secolo per tanti giovani: la droga. Di fronte a queste 2 tragedie della guerra e della droga “Noi per la vita” noi siamo per la vita. Quando una persona vuol farsi santa deve essere viva, una persona che lotta per la vita, costi quel che costi, che dovunque vada è costruttrice di vita con i suoi pensieri, le sue parole e le sue opere.
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