FASE 2. PIANIFICARE E RIGENERARE. SOLO SUI TERRITORI RIFONDIAMO IL PAESE

Solo quaranta giorni fa, la “Piattaforma Montagna” lanciata da Uncem, la forza delle “Green Communities” citate dalla Treccani e al centro di attenzioni nuove,  il “Manifesto per un’Economia a misura d’uomo contro la crisi climatica” lanciato da Fondazione Symbola, incrociavano i temi che oggi sono al centro di un dibattito culturale forte e che deve irradiarsi. E cioè come dare ai territori nuova coesione, nuove opportunità di crescita che dalle emergenze (sanitaria, climatica, entrambe insieme e altre) possano permettere effetti positivi nel limitare fragilità e riduzione dei diritti di cittadinanza. In una parola, la capacità di tornare a pianificare. Pensiero e opera. Ragionamento e operosità. È quello che oggi i territori – le aree rurali, montane, interne – cercano mentre sono al centro di una pandemia mondiale che ripropone come mai prima il “glocal”, categoria di pensiero e di intervento. L’epidemia non ha lasciato scampo anche a molte valli alpine – più in Lombardia, in Emilia, meno in Piemonte – e alle zone urbane. Ma le risposte univoche per superare le criticità dell’emergenza sanitaria come le risposte future alle sfide economiche e sociali, non potranno esserci. In questo eravamo stati chiari nella “Piattaforma”: politiche differenziate per territori che sono diversi. Negli ultimi trent’anni invece è stato il contrario: tutto uguale per tutti. E così sono cresciute desertificazione e fragilità.

Recuperare il senso della pianificazione territoriale è Politica. I progetti europei di cooperazione ce lo impongono anche perché in altri Paesi la programmazione e la pianificazione sono pilastri dello sviluppo locale. Le azioni vengono dopo. La pandemia sorprende i territori e li obbliga a modificare gli approcci e le strategie economiche e le iniziative per lo sviluppo. Anche la Cina ha dovuto modificare molti dei suoi assi di crescita, che sono, come noto, fatti a cinquant’anni. Pensati. Alle nostre longitudini e latitudini è complesso anche solo andare ai prossimi cinque. Se la programmazione comunitaria in corso e quella futura avranno un obiettivo, sarà consentire di consolidare opportunità per Enti territoriali, imprese, terzo settore capaci di generare insieme (e solo insieme) crescita, sviluppo e di stare nella traccia dei moderni Paesi occidentali. Che non possono non guardare alla crisi climatica come scenario nel quale riorganizzare produzione e modi di vivere. Green e smart per dirla con Aldo Bonomi. Crisi vs Anticrisi per stare alle analisi preziose di Giampiero Lupatelli. In questo disegno, eravamo stati capaci, come Uncem e con tanti pianificatori, ben dieci anni fa di anticipare percorsi oggi virtuosi, dicendo alle Regioni di investire per la rigenerazione dei borghi, per dare un futuro ai paesi e alle realtà territoriali. Dieci anni fa e più era al centro della critica dall’alto per tutto quello che era locale. Tutto il piccolo era da abbattere. Abbiamo spiegato, culturalmente e politicamente, che questo approccio era sbagliato e che insieme si doveva investire sulle aree rurali, interne, sui piccoli centri, non per questo margine e “periferia dell’impero”.

Così, nel guardare ai territori l’emergenza sanitaria ha imposto e obbligherà a investire di più sulle comunità. Cosa sono sono? Le persone che vivono insieme sui territori, con valori, storia, destini, futuro comune. Non entità astratte, ma chiaramente il perno del Paese. Investire nei borghi, nei paesi, anche nella rivitalizzazione architettonica e sociale, vuol dire strutturare modi di vivere, abitare, lavorare. Pianificare. Investire qui vuol dire – come ci ha insegnato la Strategia nazionale per le Aree interne e come viene dalla legge nazionale 158/2017 sui piccoli Comuni – puntare su scuola, mobilità, sanità. E sviluppo, benessere, posti di lavoro. Le “Cooperative di comunità”, le “Case della salute”, gli “Infermieri di comunità” sono il futuro e nella pandemia sono stati anticorpi per i territori. Dal basso e dal pubblico nascono, dallo Stato sui territori. Dove le imprese non possono arrivare, dove non è remunerativo – e nelle aree montane non lo è forse quasi mai – deve intervenire, deve esserci lo Stato. Che è nei Comuni, nelle Unioni montane, nelle comunità stesse. Che sono lo Stato. Il “centro” deve ad esempio mettere risorse pubbliche per superare i divari digitali e per dare nuovi spazi di vivibilità a chi non ha scelto le aree urbane. Vuole stare altrove, ma vuole diritti di cittadinanza e servizi adeguati. Lo dice bene Piercarlo Grimaldi, già Rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche: “Questa emergenza ci fa riflettere anche sui limiti dell’uomo-metropolitano: oltre il 50% dell’umanità vive, infatti, in grandi agglomerati urbani, in Occidente si va addirittura verso il 60%. Ora scopriamo che vivere ammassati è poco igienico e anche poco produttivo. Di conseguenza ci sarà un ritorno alle tradizioni, al contatto con la natura che determinerà un’inversione anche nei valori fuori dal modello urbano”. Pianificare questa “scoperta” è la missione decisiva di questi giorni e dei prossimi mesi.

 

 

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