PER UNA PROFONDA [CONCRETA] RIFLESSIONE SUI PERCORSI DELLE VALLI

Ha fatto molto discutere, qualche settimana fa, una pagina intera del dorso torinese del Corriere della Sera che ha aperto uno squarcio sul territorio delle Valli di Lanzo. Un’analisi giornalistica di Laura Siviero (giornalista che non conosco) in un “reportage” che ha aperto un dibattito e generato diversi sentimenti. È sempre il compito dei giornali. Il titolo, come spesso accade, racchiude alcuni elementi del pezzo, utili, ma non tutti: “Isolate e perse, il grido delle Valli di Lanzo”. Che una valle sia isolata e persa è ontologicamente sbagliato, improprio in senso geografico, ma il titolo accende gli animi e fa discutere (provando andare oltre il bar) se lo si legge in chiave sociologica, antropologica, culturale. Questa mia non vuole certo essere un’esegesi di un articolo di giornale: vanno e vengono, non sono certo pronti per un Pulitzer, non sono completi in un’analisi del complesso che richiedere più di un libro. Altro che 100 righe. Eppure un po’ di riflessione la fanno fare. Deve essere così. Con tutte le molle e i cuscinetti che servono in questi casi. Gli stesse che vanno messi dentro i commenti e le analisi rispetto ad esempio all’acceso dibattito creatosi, sempre qualche giorno fa, sul “cobalto delle Valli” che ripropone 150 anni di polarizzazioni tra sfruttamento delle risorse naturali, nuovo lavoro e PIL, totale protezione paesaggistica e ambientale. Mai tutto è nero o bianco e le sfumature sono quelle che impongono la riflessione, che vengono dalla riflessione. Anche in silenzio. Ma questa volta, qualche elemento – proprio a partire da queste due vicende giornalistiche agostane – va esplicitato.

Che le Valli di Lanzo siano oggi al centro di una fase di transizione non è una novità. Più in generale, vale per tutti i sistemi territoriali omogenei. Che siano un quartiere, una intera città, una valle intera alpina (da cima a fondo), le tre crisi (climatica, pandemica, economica) spingono a una accurata e affascinante riflessione sulle direzioni dello sviluppo. Che, insegna il Presidente della CEI, il card. Bassetti, non sempre è progresso. Dove vanno oggi i sistemi territoriali, ciascuno con le proprie peculiarità, è una seria e rispettosa domanda che fanno bene i giornali – e i giornalisti più attenti – a porre, da una parte ai decisori e ai rappresentanti istituzionali eletti, e contemporaneamente, insieme, alle intere comunità, fatte di persone che insieme vivono gli eventi e la Storia in un dato luogo e in un preciso tempo. Meccanismi di “partecipazione”, uniti a trasparenza e volontà di confronto pubblico, stanno prendendo sempre più piede e dove sono presenti; danno ai territori, a sistemi geografici territoriali omogenei, una carta vera e preziosa per vincere le sfide del presente e del futuro. Voglio dire che senza dialogo le istituzioni muoiono e le comunità si distraggono allontanandosi dalle strutture e dalle organizzazioni democratiche. Succede più di quanto si possa pensare. Tutte le istituzioni si sono indebolite entrando in crisi negli ultimi decenni. Ed è quello che, nelle nostre modeste e locali sedi, viene definito “spaesamento” che contribuisce all’abbandono, all’allontanamento, ovvero alla polemica e alla critica fine a se stessa. E un rischio anche per i migliori articoli giornalistici o per i saggi di approfondimento. Finire l’analisi nella critica, porre opportune domande, senza provare, almeno provare, a tracciare qualche strada di lavoro, qualche pista di impegno comune. Il dialogo ricuce e include, ma deve essere guidato e promosso nelle sedi istituzionali da chi ha responsabilità istituzionali. Lo ribadisco perché è in cima a ogni necessità e urgenza. Viene prima di come decidiamo di organizzare turismo, filiere del legno, concessioni per acqua o cobalto. Conquistare quella che recentemente David Sassoli ha definito “unità istituzionale” è un primo tema che anche per le Valli di Lanzo si pone. Due Unioni montane, per 25 Comuni complessivi, non sono certo un problema. Tantomeno un’emergenza democratica. Piano piano hanno imparato e impareranno a lavorare insieme mettendo da parte – come mi pare già avvenga – questioni ideologiche e sovranismi municipali. Vale anche per il Canavese, per il Pinerolese, per tutto il Piemonte delle 55 frammentate unioni. Che guardandole di unità istituzionale sembrano avere ben poco, immerse in mille e una criticità burocratica, amministrativa, ideale. Eppure qui, a 40 chilometri a nord di Torino, si deve imparare (già si fa con semi gettati su terra buona) a lavorare insieme con i sistemi territoriali non montani, verso Ciriacese, Venaria e prima cintura, convergendo idee e proposte in tavoli organizzati, democratici, di condivisione. È questo confronto che è sempre difficile. Se rimane sui principi generali, registra non pochi sinergici entusiasmi. Quando poi deve definire scelte – che comportano delusioni e rinunce, nel quale si perde la propria idea a vantaggio della migliore del vicino – creano fratture che poi vanno ricomposte. È un elemento stesso della crisi, questo “superamento”, questa ricomposizione: scegliere genera conflitti – non certo con le armi – ed è per questo che se dovessi scegliere uno dei principali temi per formare Sindaci, Amministratori pubblici, più in generale politici, intitolerei il corso “Comunità che crea unità, Istituzioni che scelgono insieme”. Inviterei tra gli altri, Giampiero Lupatelli, Giovanni Teneggi, Leonardo Becchetti, Margareth Karram… E poi Luigino Bruni, economista, in primis, ad aiutarci, Sindaci, Amministratori, Politici, tutti gli eletti – a conoscere a fondo dinamiche della scelta e del dialogo. A chi dice che dovremmo formare i Sindaci prima di tutto su cosa sia una determina o una delibera rispondo che va bene dirlo a un comizio. Ma quello che serve è ben altro. È una necessità, questa della “scelta insieme”, dell’esame di come funzionino le comunità complesse, che vale per le istituzioni pubbliche civili, come quelle religiose, terzo settore, Comuni appunto, ma anche parrocchie, Pro Loco… E come stanno insieme è ancora un’altra partita. Da studiare, conoscere, approfondire. Per non trovarsi impreparati nella grande sfida del contemporaneo mondo che preferisce non scegliere o scegliere marginalizzando e lasciando fuori. Includere e cucire nel dialogo richiede una scuola.

Tutto questo detto finora può sembrare effimero e inopportuno di fronte ad articoli di giornale che parlano di destini delle valli , di turismo stanco, di impegno non adeguato, di spersi territori senza futuro. Territori che, apparentemente e realmente, non sanno bene dove andare. Mai come oggi questo senso di smarrimento è – mi sembra di poter dire – virtù e forza. Se scegliessimo mai, sistema territoriale montano o meno, di andare dove andavamo qualche anno fa, avremmo capito poco questo ultimo anno e mezzo ma soprattutto rifaremmo gli stessi errori fatti negli ultimi sette decenni. È come quelle scuole tutte da ricostruire nei paesi del terremoto del centro italia; non ricostruirle tutte apparentemente dà l’idea di ulteriore abbandono di quei luoghi e di infragilimento determinato dalla non ricostruzione di un plesso per ogni Comune. Me lo spiegano sempre Fabio Renzi ed Ermete Realacci. È piuttosto vero che vince una pianificazione capace di determinare come quelle realtà territoriali stanno insieme perché le scuole stanno insieme, dunque non è più sufficiente, come prima del 2010, un plesso per ogni Comune. Serve una diversa organizzazione che rompa la continuità rispetto al tempo dell’abbandono e della desertificazione. Vale anche per i quartieri urbani e i servizi ai cittadini. Vale per le Valli, e Roberto Colombero, dall’alto della sua Canosio e dalla forza della sua Val Maira, mi ripete che se non si ripensa il modello organizzativo dei servizi (scuola, trasporti, sanità, welfare, ma anche banche, poste, negozi, bar), anzi se si pensa di portare tutto a com’era vent’anni fa, siamo finiti prima di iniziare la riflessione sul futuro. Come dargli torto. Se nelle Valli di Lanzo hanno vinto le scuole e oggi la qualità della formazione è migliore, cresciuta negli anni, è perché questi plessi sono insieme in due, tre poli – Ceres, Viù, Lanzo – che danno concreta forza a un processo di inclusione che vince sui municipalismi. È quello che pure il Consorzio turistico ha fatto, deve fare, sta facendo, usando bene le opportunità dei molti “voucher turistici” venduti grazie all’impegno di Regione Piemonte con gli operatori. Ma anche questi flussi sarebbero poco utili senza una attenta concreta riflessione sul dove va il turismo nelle Valli. Bene ha fatto il GAL a riunire le forze, a spingere le Unioni all’azione insieme e ancor meglio farà se potrà dare – allo stesso tempo – dei tempi certi per una analisi dei risultati (benefici economici, PIL, posti di lavoro, misurati e misurabili) ma anche una permanente e continua occasione di dialogo. Guardare alla fine del 2021 e contemporaneamente al 2025 e al 2030, quali orizzonti di medio periodo per non lasciare alcuna strada di lavoro intentata. Sarebbe sbagliato fermarsi, come nelle analisi giornalistiche che ben conosco, ai dati dell’estate o ai dati dell’inverno se non si colgono piuttosto direzioni e strategie, programmi e capacità anche di modificare quei programmi. La spesa pro capite nelle Valli va alzata e gli operatori sanno bene che questo si fa agevolando processi culturali prima di tutto. Si tiene insieme una dimensione immateriale di lavoro di studio e approfondimento su direzioni e strategie, alla dimensione estremamente concreta di azione e investimento. Quella che però non deve illudere rispetto al fantomatico arrivo di grandi risorse da Bruxelles. Non ci salva il PNRR perché sul PNRR avremo capacità di azione non sulla base di liste della spesa ma sulla dimensione di studio e analisi delle necessità e delle opportunità nei prossimi mesi. Un borgo alpino nel “Piano dei borghi” (M2), interventi sulle “strade delle aree interne” (PNC), interventi sul dissesto idrogeologico (M2), “farmacie delle comunità” nelle aree interne (M5), nuovi posti in asili nido (M6). Queste sono alcune direzioni di lavoro sulle reali “componenti” del PNRR. Per le nuove generazioni, con una chiave di lettura che è legata all’innovazione e alla sostenibilità. E così le Valli di Lanzo possono far crescere da subito il senso di una “green community” (M2 del PNRR) che potrebbe legittimamente occupare il dibattito togliendo fiato (e spazio) a quello un po’ inutile e retrogrado sulla fruizione di minerali dalle rocce delle valli.

Se però su questi fronti  non formiamo il “capitale umano”, ovvero sociale, saranno altri a leggere le direzioni da prendere. Altri soggetti spuria – contemplando che comunque l’innovazione arriva sempre dall’esterno – ma che hanno obiettivi diversi dalle comunità dei territori. Formare il capitale umano evita speculazioni e errori grossolani di lettura della realtà. Allo stesso tempo permette mobilitazioni – come quella sulle reti – che impegnano a stare in dinamiche non di retroguardia. Non c’è più – non c’è mai stato ma per molto tempo si è pensato ci fossero, in tutti i sistemi territoriali – un rappresentante istituzionale nei livelli regionali o nazionali che tirato per la giacca risolva i problemi della ferrovia o della banda ultralarga con la bacchetta magica. C’è una comunità che si muove e che nuovamente, formata, non può smettere di vedersi direttamente impegnata – tutti i cittadini, non solo quelli eletti – in un lavoro comune di strutturazione del futuro. In questa chiave si possono leggere le esigenze di rendere più accoglienti e “belle” le Valli. Detta così sembra filosofica intenzione o diktat che viaggia a chilometri da terra. Eppure a conquistare chi vive da sempre sul territorio, chi ci vuole andare a vivere o chi è andato via, è il fascino di un percorso congiunto che superi benaltrismo, polemiche, se e ma. Richiamo ancora il Presidente del Parlamento europeo quando scrive, ultimamente, di nuova “ecologia delle istituzioni”, per dire meglio quella frase della Laudato Si di Francesco: “Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali”. Ricollocare il pensiero e l’azione in questa dimensione è l’unica possibile via.

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