NON SOLO TURISMO (IMPORTANTISSIMO). VIVERE, ABITARE, LAVORARE, INNOVARE. BORGHI ITALIANI ALLA PROVA DEL PRESENTE

Nei giorni scorsi, i borghi italiani – gli italian villages – hanno riconquistato le pagine dei grandi giornali esteri. The Telegraph, The Local, The Times e altri hanno ripreso quanto uscito negli ultimi venti giorni su Repubblica e su altri quotidiani italiani. Borghi destinazione turistica per l’estate, borghi abbandonati dove comprare una casa, ghost town dove acquistare un immobile da recuperare al prezzo di un piccolo box in centro a Milano o Londra. Ricordo che quando i borghi erano andati, anni fa, sui giornali inglesi che fanno milionate di fan sui social, eravamo in tutt’altra fase e quando cioè come Uncem avevamo guardato al fenomeno della vendita on line o della messa a disposizione di case a 1 euro in diversi Comuni italiani. Solo alcune di queste iniziative hanno funzionato, ma mi interessa poco fare l’esegesi di quelle situazioni.

È piuttosto interessante invece guardare alla crescita esponenziale di attenzione per i territori. La provincia italiana, la “città diffusa”, descritta poco opportunamente da alcuni come città che si “estende alla campagna”, ovvero al fenomeno che alcuni auspicherebbero di “città che adotta i borghi”. Quelli abbandonati o semiabbandonati, come se realmente esistessero, facendo un po’ di retorica e un gran minestrone. In mezzo al grano, si sa, c’è la zizzania. La retorica, in questo caso. E dunque, quando la curva della comunicazione e dell’attenzione sale, quell’argomento subisce modificazioni, eccessi, stress. I borghi sono sotto i riflettori. Più chiaramente, potrei dire che i piccoli Comuni e i territori montani sono sotto i riflettori. Boeri, Cucinella, Fuksas hanno, con le loro dichiarazioni riportate sulle colonne della stampa quotidiana (non specializzata), aperto nuovi fronti. Tra contestazioni e apprezzamenti, Uncem ha preferito rispondere. Gettare un ponte e provare a inquadrare i temi principali sui quali ragionare, anche insieme.

Ma andiamo con ordine.

Turismo, prima di tutto. Urge una riflessione. In testa ai trend topic, non solo social, di queste ultime settimane nel pieno dell’emergenza sanitaria, c’è il turismo. Verso i borghi e i territori, ovviamente. Tutti i giornali, nelle pagine locali, nelle ultime ore dedicano grande spazio alle “montagne prese d’assalto” nella fase 2, alle opportunità di nuovi flussi. Vale, credo, quel che ha detto l’amico Bressy: in montagna tra giugno e settembre, ci andrà chi ama la montagna, mentre a chi non piace, beh, diciamo che andrà altrove. Vero. Una crescita di numeri, arrivi e presenze, è comunque facile da prevedere. Occorre però precisare che quando si parla di “destinazione borghi”, non si parla certo solo di montagne. Con le reti Borghi più belli, Bandiere Arancioni, Borghi Autentici, TCI, si provano oggi a delineare scenari e soluzioni con il Mibact per un turismo estivo che porti flussi nei borghi senza “invasione” e con adeguati standard di servizi e di sicurezza. È importante. Anche per focalizzare alcune cose, sule quali lavorare:

  1. Le aree montane hanno un limite di flusso di turisti che va riconosciuto e individuato, anche alla luce delle norme che verranno in merito a sicurezza di strutture turistico-ricettive e spazi pubblici. Anche sentieri, pianori, spazi aperti hanno un “numero limite”, non chiuso, di persone che li possono percorrere. Va individuato.
  2. Chi vuole scegliere la montagna per le proprie vacanze estive ha ben chiaro cosa vuole e l’offerta sui territori non sempre è articolata e adeguata. Dobbiamo lavorarci per migliorarla. Il tempo è poco.
  3. Non conoscendo ancora le regole per alberghi e strutture turistiche di altro genere, è difficile oggi comporre “pacchetti turistici” da mettere in vendita (Booking.com è tra i siti internet che ha subito un crollo maggiore di visite in Europa, negli ultimi due mesi). Di certo vale il punto numero 4.
  4. Sottolineo il punto 10 del Decalogo Uncem prodotto per chi va in montagna, dall’inizio della “fase 2”. È fondamentale sempre. Leggetelo. Non si passa oltre le comunità. Il senso.
  5. La “competizione” tra territori sarà alta. Chi è organizzato in modo migliore, può avere flussi migliori. Sulla qualità dobbiamo intervenire. E occorre evitare che ogni Comune alpino e appenninico, ogni “borgo” – 5000 campanili – faccia il “municipalista” e cioè pensi di bastare a se stesso componendo l’offerta. Atavico problema dei territori, un po’ superato negli ultimi anni. Occorre lavorare insieme, a dimensione di valle, di territorio, di ambito ottimale. Nessuno si salva da solo anche su questo. Nessuno può lavorare da solo ignorando quello che fa il vicino e l’altro comune (inteso non solo come Ente e struttura amministrativa) sta facendo nel fondo valle. Mica è semplice. Ma chi lo sa fare, è vincente.
  6.  Occorre – non solo oggi – individuare i target. A chi ci si rivolge con la propria offerta e con la propria capacità di essere territorio. Chi siamo e per chi. Qualche giorno fa Uncem ha (ri)lanciato la proposta ai grandi Comuni di riprendere in mano il catalogo del turismo “A scuola di montagna”. È perfetto per centri estivi e associazioni che nell’estate dovranno organizzare qualche gita sui territori. Lavoriamoci.
  7. Per fare un lavoro di questo tipo e su altri parametri, non basta individuare il primo consulente “che si propone”. Occorre un lavoro scientifico che i Comuni, le Comunità montane, le Unioni montane di Comuni molto spesso hanno già realizzato (gli studi e le analisi, le fotografie dello stato dell’arte, non mancano!) o che comunque possono costruire d’intesa con Regione, DMO territoriali, ATL, Associazioni di categoria. C’è pochissimo tempo e tutti aspettano comunque regole più chiare. Giusto. Mettiamoci però da subito la testa.

Questo è un fronte di lavoro intenso, appassionante, con riflettori interni ed esterni al Paese che mette i paesi in una fase di grande animazione, trepidante attesa, capacità di essere sul pezzo. Ci lavorano i Sindaci, con impegno che fino a due mesi e mezzo fa era impensabile.

Eppure c’è un secondo grande scenario che richiede pensiero e azione.

I borghi, i nostri territori montani, pezzi di Alpi e di Appennino non sono solo luogo dove passare qualche settimana o giorno nella prossima estate e nel prossimo inverno (anche a questo, sì, occorre pensare).

I nostri borghi sono spazio dove abitare, vivere e fare impresa. Definire perché, come, quando e per chi, è il nodo. Sono i nodi da sciogliere.
Con tre questioni alla base dell’analisi:

  1. Non parliamo di borghi vuoti, abbandonati, perché non siamo abbandonologi. Questo è un mestiere che lasciamo ad altri. I borghi abbandonati sono spesso abbandonati (penso a Craco, per dirne uno) per motivi fisici, orografici, come altissimo rischio sismico, dissesto idrogeologico, altro di questo genere. I borghi delle aree montane alpine e appenniniche (oltre 4500 Comuni italiani) continuano a subire spopolamento, abbassamento delle nascite, aumento dei morti. Ci sono lenti flussi “in ingresso” ma molto, molto lenti. Parlare di abbandono è in qualche modo improprio. Discorso a parte, che non apro qui, è quello che riguarda l’arrivo di migranti economici e non da Paesi extraeuropei. Un fenomeno nuovo e tutto ancora da capire.
  2. Da decenni, da sempre, Uncem e altre Associazioni, altre Reti e Professionisti, si occupano di questi temi, di borghi e di territorio, di spopolamento, di scelte di ritorno. Faccio nomi e cognomi di chi ci lavora da sempre, da quando è nato: Symbola, Istituto di Architettura Montana, Fondazione Montagne Italia, Caire, Confcooperative con la Cooperative di Comunità, molte Datoriali con i nuovi spin off nati per operare con  fiducia sui territori. Penso a Confindustria per la Montagna, ad esempio. Ma questo, tutto questo “storico impegno”, non esclude che ci debbano incrociare Architetti, pianificatori, Sociologi, Scienziati di fama internazionale che iniziano ad approcciarsi al tema. Tutto questo non esclude che in passato si siano fatti, da parte degli storici militanti, errori e l’impegno vada rilanciato. Tutto questo non esclude che valga la pena di lavorare insieme aprendo nuovi percorsi.
  3. Vietato parlare di adozioni e di Montagne o borghi adottate da aree urbane o città. Nessuno prende in braccio nessuno. Nessuno guarda dall’alto. Forse potrebbe farlo la montagna, i borghi, noi, ma dall’alto no. Non serve. E di errori, ne abbiamo fatti tutti, spesso cadendo dall’alto. Ma questa è un’altra storia e non voglio fare analisi affrettate e inopportune qui.

 

Abitare, lavorare, innovare. Qualche ora fa con Luca Mercalli abbiamo fatto una interessante analisi (partendo dai cambiamenti climatici, che spingeranno in alto le temperature e più in alto chi oggi vive nel catino della pianura padana o in altri territori che diventeranno meno accoglienti, più aridi), che non è nuova per lo stesso meteorologo, ovvero per Antonio De Rossi, Giampiero Lupatelli, Giovanni Teneggi, Fabio Renzi. Cosa vado a fare lì, perché, con quale scelta di vita, con quali servizi da trovare. Da far tremare le vene i polsi, le analisi e le risposte. Che ci si debba andare, oggi, per scelta è il primo punto. Ho raccontato più di una volta che ogni settimana, da anni, ricevo almeno cinque telefonate o mail di chi dice “vorrei trasferirmi in un comune montano, cosa devo fare?“. Potrei raccontare decine di dialoghi, più che risposte. Molte persone cercano contributi, supporti economici, sostegni (dai Mip ai Gal da attivare). L’ultima iniziativa di Regione Emilia-Romagna, con il contributo a giovani coppie che si trasferiscono in un Comune montano, ha già fatto il giro d’Italia. E altre Regioni, potrebbero a breve copiare. È un percorso importantissimo, che sostiene e mette tasselli importanti per chi vuole trasferirsi. Ne servono però altri come ricorda Alberto Sasso con il suo Riabitare le Alpi.

Anche questa volta, abuso dell’elenco puntato. Per evidenziare che:

  1. Il cambio di vita, per chi vuole trasferirsi va misurato bene. È un cambio di vita. Chi vive da sempre in una città, anche media, ha certe abitudini difficili da cambiare. È evidente. E le aree montane, tanti borghi nei territori alpini e appenninici, non sono semplici da vivere anche per i più stufi e annoiati dalla vita in città. Vietati retorica e semplici analisi. Occorre definire – coppie o singoli – un processo preciso. Sapere cosa si perde e cosa si può trovare.
  2. Il progetto di vita ha tre componenti: casa, servizi, lavoro. Li vediamo di seguito.
  3. Sulla casa, di per sè, siamo nella dimensione più semplice da affrontare. Primo stadio, non banale ma neanche impossibile. I Comuni hanno moltissimi “vuoti”. Che siano in appartamenti in un condominio o case intere da comprare e affittare, sui siti dedicati, le proposte non mancano. Veramente a ogni prezzo. Già oggi, Ecobonus, Sismabonus, Bonus ristrutturazioni, sono importanti per una rivitalizzazione (green!) dell’esistente risparmiando non pochi soldini. Con l’aumento delle percentuali fino al 110% si va verso nuove preziose opportunità. Da percorrere fino in fondo.
  4. Lavoro. Mercalli ci ricorda che non ci si deve certo fermare ad agricoltura, silvicoltura e turismo, nei Comuni montani. Si può telelavorare – come questa pandemia ha insegnato – non appena le infrastrutture di rete (banda ultralarga, in primis) saranno veramente per tutti. Sono in aumento i makers, gli startupper, le persone che possono mettere la loro attività in piazza San Babila come in via Torino a Balme o sul lago di Ceresole, senza alcuna differenza. Guadagnando in paesaggio però. E se c’è la rete ovviamente. Stampanti 3D, server farm, ma anche gli studi professionali, possono essere delocalizzati (per volontà e opportunità) senza alcuna difficoltà. Lo dico per la terza volta: se c’è rete. E su questa rete, stiamo facendo tutte le battaglie per evitare si perda ulteriore tempo. Dunque sul lavoro, le categorie che potrebbero spostarsi sono in aumento. Peraltro le nostre montagne non sono come in India o nel nord europa a centinaia di chilometri dalla prima città. Siamo in raggi e distanze assolutamente possibili, una massimo due ore da metropoli dotate di ogni servizio.
  5. I servizi appunto. Nei territori, l’offerta è totalmente da ripensare. Mi riferisco a sanità, trasporti, scuole. Su questi tre fronti, va ribadita una cosa: la Strategia nazionale Aree interne ha permesso un ripensamento totale dell’organizzazione in moltissime valli italiane. Occorre esportare quelle buone pratiche e trasformarle in Politiche. È la sfida. Medici di base più presenti, infermieri di comunità, 118 efficiente i cardini del lavoro sulla sanità. Scuole di valle veramente innovative sono possibili grazie a efficaci sistemi di trasporto pubblico (o privato). Qui lo Stato deve agire. Come ribadito dal Ministro Boccia il 31 gennaio 2020, Stato centrale e Regioni devono intervenire per colmare i gap e permettere regole ad hoc. Non sempre infatti servono soldi, quanto invece riorganizzazione e ridefinizione delle regole. Manco a dirsi, senza burocrazia.

 

Costruire questo modello di sviluppo localie è particolarmente sfidante in particolare per le Amministrazioni comunali. Ricordo quanto fatto anni fa con il progetto “Vado a vivere in montagna” che ci ha visti, anche come Uncem con tanti altri amici, impegnati a unire domanda e offerta. Oltre 70 le “manifestazioni di interesse” raccolte su iniziativa di Filippo Barbera e Andrea Membretti. Difficili poi da concretizzare. Ma la base c’è, è roba buona da usare, ancora da prendere in mano e sulla quale misurare risposte. Ora il progetto prosegue provando a ripartire dove eravamo rimasti, cioè cosa i territori possono e dovrebbero fare. Non in futuro, ma oggi.

Ultimo pezzo di questo ragionamento. Appunto. Gli Enti locali. C’è già fermento. Ma alcune cose si possono suggerire:

  1. Mappare le case in vendita o in affitto. C’è chi già si sta adoperando. Con un’analisi dei siti immobiliari che hanno “offerte” relative al proprio territorio, coinvolgendo un’associazione locale a affidando una mappatura. Capire cosa c’è in vendita o in affitto. Primo punto.
  2. Conoscere chi si è trasferito e perché nel Comune e chi se ne è andato negli ultimi cinque/dieci anni. Anche qui, può essere un’associazione per lo sviluppo locale, un consigliere delegato, un incaricato dell’Ente che se ne occupi e faccia un’analisi per capire cosa si muove.
  3. Mai lavorare da soli. Sulla riorganizzazione dei servizi, sulla mappatura degli immobili, sulle opportunità “di lavoro” che ciascun Comune faccia per sé ha poco senso. Va evitato. Si devono gestire queste dinamiche a livello di valle – nelle Alpi e negli Appennini -, insieme.
  4. Ripensare il patrimonio pubblico. Ci sono migliaia di Comuni che hanno molti spazi, non sempre utilizzati. Ripensarne la fruizione rispetto a nuovi obiettivi può essere una chiave di impegno nuovo verso la comunità. Ad esempio, la costruzione di co-working si può fare utilizzando spazi di biblioteche o altri centri polifunzionali oggi sottoutilizzati. Il co-working nei territori diventa sempre più fondamentale per dare spazi a chi vuole un ufficio vicino a casa, ma non in casa. E a chi vuole mischiare opportunità e soluzioni come il co-working permette. Vale anche per il co-housing, anche se qui è più difficile. Ma stimolante. I “vuoti” dei Comuni possono trovare nuove funzionalità. Per fare impresa e per un incontro tra pubblico-privato come mai oggi vincente (e mai realizzatosi in passato). Per il terzo settore, con innovative “Case alpine del welfare” (o appenniniche).
  5. Mai pensare che il proprio territorio sia già arrivato. In sostanza, il percorso sociale, demografico, antropologico, è un percorso appunto. Non ha inizio e non ha una fine. Quando i riflettori si accendono sui territori, come avviene oggi, vanno giocate le carte migliori pensando e operando, vanno individuate soluzioni, consapevoli che il processo non si ferma.
  6. Occorre saper pianificare. Le Storie migliori, dei “laboratori alpini”, i paesi che più hanno fatto per “crescere” e attrarre forze nuove, diventare comunità vive, generare benessere e innovazione, hanno avuto la capacità di pianificare un percorso. Identificare i punti fermi alla base del processo, le risorse, le ricchezze, le teste migliori, le capacità amministrative. Vi è stato un processo manageriale che deriva da una proposta che ha anche un leader identificato e saldo nel tempo, che sa aggregare ed essere inclusivo. Così avviene per i processi difficili e come avviene nelle imprese che hanno successo (una su tutte, Brunello Cucinelli: lui, l’azienda, il borgo, la comunità che vi opera). Semplificare, anche nel coinvolgimento delle persone adatte – nei paesi come nelle aziende -, è un errore e non aiuta.
  7. Occorre che insieme le Amministrazioni locali sappiano puntare all’obiettivo. Se si ritiene che i processi per dotare di infrastrutture i territori non siano adeguati o vadano troppo lenti, si definiscono meccanismi di mobilitazione, istanze collettive che trovino nell’unione di intenti la forza. Mai da soli. Così criteri e numeri minimi di classi e altri servizi. I percorsi di territorio, nell’interlocuzione con le Istituzioni, sono gli unici possibili. Nessuno si salva da solo.
  8. Occorre essere a prova di futuro. La pandemia passa, passerà, avrà effetti economici devastanti come già sappiamo, ricollocherà territori. La crisi climatica resta. Le risposte che dobbiamo dare su questo fronte, nel quadro del Green New Deal europeo ripensato, sono moltissime. E i Comuni montani insieme trovano nelle green communities una chiave di impegno e di senso territoriale. A prova di futuro. Pianificano e agiscono insieme lo Sviluppo, come scritto all’articolo 13 della legge 158/2017 sui piccoli Comuni, ovvero nella 221/2015 sulla green economy.

 

In conclusione, per i borghi italiani abbiamo una prova nel presente. Nell’Oggi. Non è una prova di futuro quella che viviamo. Mai parlare di “ultimi treni da prendere e che passano e non tornano”. La storia racconta che ci sono n possibilità. Di certo, si sono aperti in questi ultimi due mesi squarci su questioni fino a ieri impensate e impensabili. Non siamo sorpresi. Altri fenomeni sorprendono (o anche questi in parte). Come ad esempio la capacità di un popolo di seguire regole, di ascolto, di svoltare improvvisamente verso inimmaginabili ieri sistemi di dialogo a distanza. Lascio analisi di comportamenti individuali e collettivi ad altri.

Mi fermo a osservare qualche buon processo di innovazione che sui territori, nelle montagne e tra i borghi si sta innestando. Non si parte da zero. Non servono i titoloni a darci le gambe e l’azione. Continuiamo a camminare, di certo anche aprendo nuovi sentieri fino a ieri ignorati, formandoci e… in cordata. Senza dimenticare, verso la cima, che lì c’è il villaggio. La comunità intelligente che si plasma.

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