AFFINITÀ ELETTIVE

Sarà che ci chiamiamo Marco. E che chiamiamo Daniela e Tonina per nome e non “mamma”. Sarà che dentro, in quegli anni, c’è un sacco di roba. Dell’adolescenza delle pulsioni e degli amori. Il primo per lui, che ha reso San Valentino un altro giorno. Una cosa molto diversa di vero amore. 14 febbraio, ore 21,30 circa. Parole non ne ho. Davanti alle edizioni straordinarie dei TG per la morte di marco. Se n’è andato, Roi de France, il Campione che non muore. Titoli che sono tutti ancora vivi. Senza retorica e senza rumore, sono cresciuto con lui. Nunzia potrebbe confermarlo. Nell’estate ’98 di nonna malata e della Mercatone Uno che vola. Dell’inverno con la Ciurma del Pirata che scendeva in campo contagiando Quelli che il calcio per iniziare poi al Laigueglia la stagione. Lo striscione rosa lungo quattro metri in classe – Fiano, via Castello secondo piano – verso l’esame di terza media e il Giro ’99. Perché è da sempre così: inizia il Giro, finisce la scuola. Agrigento il via, Terracina, Maddaloni, il Gran Sasso, poi su fino a Oropa. Che anche Lei è diventata un altro Santuario. Ci sono tornato silenzioso poche volte. Santuario del ciclismo. La Madonna Nera che ha accompagnato la rimonta fin sul pavé, ha un degno compagno forse non troppo devoto ma generatore di sana laica devozione che non distrae dalla prima, divina.

Dentro Marco che vince ci sono i nonni. Nonna che se ne va il 5 febbraio 1999, nonno che resta e l’amore per il ciclismo che cresce per merito suo. Che aveva visto Binda “il più grande”, che andava all’Aeronautica di corso Marche, fino alla Guerra, tutti i giorni da Vallo in bici, che aveva visto Coppi e poi tutti gli altri. Fino a Pantani. La merenda del panino e del bicchiere di latte sul tavolo con la cerata arancione e marrone, con la tele a tutto volume. Parlava poco ma anche lui era impressionato. Nonno. De Zan che si portava verso la balaustra e il Cassani che qualche mese fa ho ringraziato finalmente di persona. Per tutto. Anche quando era nell’azzardo di un commento troppo avanzato o democristianamente aperto a ogni soluzione. Il punto era Marco. Pure a Pompei – altro santuario – dove ero quando la radio ha annunciato Campiglio. La Madonna pure lì, sopra l’hotel Touring ha aperto le braccia. Era Marco a portarmi a comprare la bici – maledetta la scelta non di quella Bianchi azzurra e gialla, cazzo! – e a provare qualche avventura con le gambe non pronte. Le sue scarpe e la sua borraccia gialla anno 2000, quando a Briancon si compie l’impresa di Garzelli e la sera, hotel Royal a Torino, Pregnolato era troppo carico per non darmela quella borraccia, dimenticandosi di una maglia ancora nella lavatrice del camper che girava. Non importa se non c’è una foto con Marco. Anche Edoardo non l’avrà mai conosciuto Marco. Ma anche lui gli sarà affezionato. Innamorato. Sapendo che i nonni bis hanno generato in Marco quel legame con le montagne rese grandi da un ciclismo che era il modo di crescere. Bellissimo. E mi ha fatto crescere per destino – chissà poi perché chiamarlo così, sostantivo dannatamente vuoto e inesatto – intrecciato con la montagna e con chi ne ha scritto pagine di Storia d’incanto. Fogli bianchi resi rosa e gialli.

Vent’anni fa, Marco non è morto.

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