REPOLE E IL SOFFIO DELLO SPIRITO PARTE DAI TERRITORI

Quando venerdi mattina – 18 febbraio – tra gli addetti ai lavori è iniziata a circolare la notizia, molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Perché erano ormai troppi mesi che dopo le dimissioni di Cesare Nosiglia e il prolungamento di due anni del suo mandato a Torino, aspettavano finalmente un nome. Troppo chiacchiericcio era nato. Troppe attese e troppi uffici bloccati nell’attesa. Il Papa ha scelto e, senza ancor sapere chi fosse, molti hanno esultato. Finalmente. L’attesa è finita con le notizie date per prima dalla Stampa, con Domenico Agasso che ha riportato il nome di Roberto Repole quale Arcivescovo di Torino e Vescovo di Susa. Primi articoli sui giornali venerdi pomeriggio, pieni di verità sui nomi e sul processo, e poi l’annuncio alla Consolata, tra un po’ di adeguata formalità e ingessature d’altri tempi che dovranno presto essere spazzate via.

Lo Spirito ha soffiato, hanno detto in molti. Per chi Crede, lo Spirito Santo orienta le scelte e fa breccia come ritiene e dove ritiene. Dio scrive dritto sulle nostre righe storte, mi ricordavano sempre. E le righe storte sono anche quelle che ospiterebbero un nome piuttosto che un altro. Ha soffiato, lo Spirito e ha generato un nome nuovo, giovane, locale, territoriale, che arriva dal piccolo, che ha studiato molto, che ha scritto tantissimo, che ha incontrato, ascoltato, generato. Ha innovato e immaginato come, con Spirito generativo, fedeltà innovatrice, questa Chiesa millenaria si possa rinnovare. Tutte le Istituzioni devono oggi pensare come si fa, questo rinnovamento. Ed è il primo, don Roberto Repole, che sa quanto sarà difficile. Sono vuote le chiese. Brucia la Chiesa come racconta Andrea Riccardi. Il chiacchiericcio tocca la Curia, le Diocesi, i preti. I laici non sanno ancora di essere Chiesa come il Concilio Vaticano II sancisce nella “piramide rovesciata”. Sembra così lontana, ancor più a Torino, quella Camminare Insieme che Padre Pellegrino aveva voluto non solo come lettera, ma come monito alle Istituzioni. Suonando la sveglia, cinquant’anni fa. Assopite allora, dormienti oggi. Sfilacciate e in preda a tanta sciatteria, incapaci di generare le comunità vive e cariche di passione che erano state un frutto conciliare. Basta entrare in qualche chiesa per avere voglia di uscire subito. Noiose celebrazioni, lugubri edifici, manco un sorriso ad accoglierti. Preti che parlano, fedeli che ascoltano per caso e per tradizione. Altro che parole che alimentano dialogo e affettuoso incontro. Dove è il contrario, sono gruppi, volenterosi, che hanno capito. Vivere il Vangelo – tantopiù quello di oggi – mai nessuno dice quanto sia necessario. Viverlo e condividerlo. Meglio e più semplice fare esegesi e alte dottrine teologiche. Invece viverlo è famiglia. Oltre strutture, fragilità, difficoltà, inaridimenti. Vivere quel poco, per essere meno divisi. Più uniti.

Verrebbe da pensare che un teologo come Roberto Repole sia, sarà Vescovo astratto, freddo, concentrato sulla dottrina, ontologicamente concentrato sulla “parola” che a volte distoglie dalla dimensione comunitaria della Parola. Mi viene invece da credere che don Repole, Roberto – che non conosco – sia invece stato scelto da Francesco e spinto dallo Spirito proprio perché lontano da nebbie e torpori. Ha spinto subito sulla Chiesa che va fuori. Che dice e vive la bellezza della vita comunitaria, inclusiva. Che guarda all’inclusione quale impegno per non lasciare alcuno indietro. Che è viva e determinata, libera e generosa, verso i poveri e i margini, i piccoli e le periferie. Roberto lo sa bene, arrivando da quella Givoletto che è piccolo Comune del fondovalle. Patto tra Valli, Susa e Lanzo. Sa quanto la riforma della Chiesa sia Sinodalità e Parresia. Generare nuova pastorale che dica ai giovani “non state fuori”, troverete risposte, non via annoierete nel buio di una sala della catechesi degli anni venti. Troverete appassionato fervore, fuoco, condivisione, comunità vive, famiglia. Troverete il bello di essere liberi, oltre ogni sessuofobia, ogni bigottismo, ogni sterile e inutile dogmatismo. Preti-uomini e comunità-famiglia. Messe che sono luogo di incontro e non formule pronunciate perché scritte su un libro. Riti – dai funerali ai matrimoni – che sono comunitari e non individuali.

Ho detto tante volte che se non avessi incontrato tutto questo, sarei fuori. Annoiato come i più, a cercare robe più interessanti. Per andare a sentire una messa inutile e sterile, meglio dormire la domenica mattina. Chi sceglie la seconda, lo stare a casa, non ha tutti i torti di fronte a certa freddezza, robe vecchie residue del passato, stantie liturgie. Qualche giorno fa, in un funerale in una grande chiesa di Torino veniva da scappare. Venti parenti e null’altro. Tutti lì quasi per caso, perché si fa cosi. Pure il prete. Manco sapeva chi fosse nella bara. È Chiesa questa?! Fredda e anziana? Senza entusiasmo sopra e sotto l’altare?! Senza dialogo e scambio?!

C’è dell’altro e lo Spirito anche questa volta ha soffiato. Roberto Repole potrà portare novità e innovazione, generare famiglia che tocchi giovani e adulti, famiglie e singoli, sacerdoti, laici e anziani. Potrà far incontrare le Istituzioni. Perché ho detto più volte che Comuni e territori devono fare quel che ha fatto la Chiesa aprendo un Sinodo per capire dove si va, cosa si fa, cosa si è.

La strada è quella del Vangelo. Famiglia e comunità, ritrovarsi per essere Uno, provare ad andare oltre muri e difficoltà. Una Chiesa povera, una Chiesa giovane, una Chiesa-famiglia. Perché se rimane una Chiesa per pochi, anziani e tradizionalisti, e per qualche ristretta cerchia di aficionados, è già fallita.

____________

Nella foto, un articolo del Risveglio di Davide Bussone del settembre 2011 relativo al passaggio di consegne tra don Piero Coda e don Roberto Repole alla guida dell’Associazione dei Teologi italiani

Nessun commento

Lascia un commento