PELLEGRINO VERSO LA SANTITA’ | CAMMINARE INSIEME NELLA CHIESA LOCALE E NELLE PARROCCHIE. PER RIGENERARLE

Torino ha vissuto negli ultimi mesi grandi cambiamenti. Del Sindaco prima, con il passaggio da Chiara Appendino a Stefano Lo Russo. È cambiato il Prefetto, poi subito dopo il Consiglio comunale e il Consiglio della Città metropolitana. Istituzioni in trasformazione. Era attesa da un anno la nomina del nuovo Arcivescovo (di Torino e Vescovo di Susa, in una logica ecclesiale-metromontana tutta da esplorare, se la CEI se ne accorgesse). Cesare Nosiglia il 7 maggio 2022 cede il testimone a Roberto Repole.

Nella crisi della pandemia, ecologica ed economica e anche da dieci giorni della guerra, i cambiamenti devono dare nuovo slancio alla città. O Torino cambia, si riconosce, o diventerà sempre più piccola e marginale.

Da dove si riparte?

C’è sola via importante, forse non unica, ma decisiva, a mio giudizio. Ripartire da quello che cinquant’anni fa venne scritto in un testo mirabile del quale in questi giorni ricorre il cinquantesimo appunto della pubblicazione. La lettera “Camminare insieme” del Cardinale Michele Pellegrino oggi non è un testo sul quale fare un po’ di buona esegesi storica, un po’ di mappatura delle posizioni tra pseudo progressisti, riformisti o conservatori, ecclesiali e politici. Non è un testo che può o deve solo richiamare cento ultrasettantenni a una duegiorni (o più duegiorni) di convegno. Fosse questo il modo per capire il pensiero del Padre in quel testo fondante per la Chiesa italiana e mondiale, saremmo già punto e a capo. Fosse questo il punto dal quale ripartire, manco troviamo la strada.

Piero Coda, teologo concreto e determinato, ha letto in quella lettera – come molti altri insieme a lui – una Profezia. Quella lettera, cinque anni dopo il Concilio, costruita durante il Concilio al quale Padre Pellegrino aveva partecipato nell’ultima fase, incarnava il Concilio. Dicendo che “la teologia è nella comunità”. Nella Chiesa che, come afferma Papa Francesco, è Maestra, Famiglia, Casa, Madre. Piero Coda ripeteva il 14 novembre 2021 a Vallo: “Pellegrino a Torino ha portato il Concilio. Come Carlo Borromeo è stato a Milano per il Concilio di Trento”. Non è azzardato. Non è improprio il legame. Pellegrino e Martini, come riteneva don Vincenzo Chiarle, sono state – oltre ai Papi – le più grandi figure della Chiesa del Novecento. Che hanno lasciato l’impronta non tanto teologica, patristica, ontologica del verbo, ecumenica. Non solo. Quanto invece vi è in loro l’impronta della comunità che impara e cresce nel camminare insieme. Si va ben oltre, in loro, le presunte o esistenti conflittualità tra riformisti, amanti della pura liturgia, progressisti sociali, conservatori della talare. Tutte categorizzazioni che piacciono a noi giornalisti, buone per qualche libro o analisi. Non certo sinodali. Non necessarie. Dividono, piuttosto che unire. Perché se il Sinodo della Chiesa si ferma in superficie e non contribuisce a creare comunità e a generare esperienze (generatività come ragion d’essere delle comunità), se non punta sul Concilio Vaticano II come chiave del presente e del futuro, fallisce.

Pellegrino questo lo aveva capito cinquant’anni fa, nella sua missione a Torino, e poi da “concittadino” e “comparrocchiano”, “viceparroco” di Vallo. Ne abbiamo goduto per “attualizzare i doni del Concilio”. Ci ha aiutati, ha aiutato la Chiesa torinese a riconoscere lo Spirito, a quel “Dio che scrive dritto sulle nostre righe storte”. Faceva le omelie, ascoltava giovani e anziani lungo la navata, prima di messa scendeva dall’altare, si sedeva con loro, abbracciava i giovani che avevano trovato lavoro, si faceva portare in auto da loro ai convegni, spiegava le novità del Concilio, guidava la trasformazione, anche con rotture rispetto al passato. Pellegrino viveva il Vangelo insieme. Anche quando si fermava dopo la messa in chiesa a Vallo a dialogare, in chiesa. Sapeva che senza lo scambio delle esperienze, anche fatta in chiesa, con quale capannello dopo la messa, che si prolunga, che parla davanti al Santissimo quasi fosse anche lui in dialogo lì in mezzo, tutto rimane solo “rito liturgico”. Scappano tutti. Infatti. Scappano annoiati tutti. Sapeva che la Parola non può essere astratta. Sapeva che i giovani chiedono esperienze vive. Come quella nella tenda di don Ciotti dove andava e tornava. Sapeva che servono esperienze cristiane vive. Non bastano una o più messe. Manco di Pasqua. Diceva anche lui che bisogna “scambiarsi le esperienze” di quella vita. E lo faceva lui per primo. Anche in chiesa a Vallo dopo la messa. E si continua…

La Libertà della Chiesa (primo punto della Camminare Insieme”), la Povertà della Chiesa (secondo), la Fraternità della Chiesa e del mondo (terzo), non sono forse i pilastri sui quali la Chiesa di Francesco, in uscita e sinodale, può ricostruire quello che è caduto come la guglia di Notre Dame descritta da Andrea Riccardi nel suo “La Chiesa brucia”? E la Chiesa torinese come fa (come farebbe) oggi a guardare alla Camminare insieme senza cogliere che Pellegrino è stato Santo. E la sua “fama di santità” – forse insieme a qualche miracoletto… – è ancora oggi forte, diffusa, da far crescere. La figura del Padre, che ha creduto e ha voluto una Chiesa-comunione – bella, inclusiva, giovane, dinamica, aperta, esperienziale, laica e per i laici, povera… – è una figura di Santità. Che troppo spesso è stata messa sotto, sotto e nel buio, nascosta. Sveglia dunque.

Di santità – che il Padre viveva – ha scritto più volte lui stesso. “Voglio farmi santo. O sacerdote santo o non sacerdote”. Ma come è possibile che nessuno nella Chiesa Torinese sia riuscito, in cinquant’anni, ad aprire un processo di canonizzazione per Pellegrino? Non trovo risposta a questo mancato coraggio-profetico. Soffi lo Spirito. Svegli chi dorme. Aveva voluto dare foglie e fiori a un albero spoglio, Pellegrino, quale è la Chiesa oggi. Peggio di allora. Lo aveva voluto negli anni Sessanta e Settanta. Serve come non mai oggi. Mentre la freddezza di tante messe e di tanti preti, che non lasciano spazio ai laici svegli e determinati, uniti e corresponsabili, o hanno il timore che “chissà cosa possano fare…” – ecco a questa freddezza Pellegrino contrapponeva un Cristianesimo adulto, laici adulti, parrocchie capaci di risvegliare pezzi di società e di mondo piuttosto assopiti, shoccati da pandemia e guerra, dal semplicismo del ragionamento politico, dalla mancanza anche di ideologie che nel quadro della prima repubblica avevano comunque stabilito un dualismo che rendeva vivace e intenso un dibattito e perché no uno scontro. Pellegrino voleva una vera “passione per la Chiesa”. La viveva. Senza passione c’è niente.

Pellegrino santo. Non certo grazie alla “Camminare insieme”. Figuriamoci, non è questo il punto! Pellegrino Santo perché aveva capito la portata di una Chiesa nuova che aiuta a vedersi nuovi, a scoprire Dio-Amore, a scoprire la comunione, a sostenere la società diversa, nuovi paradigmi, ad avere sacerdoti e vescovi con laici formati e capaci di vivere insieme un’esperienza di comunione, unica possibile. Aveva capito che da soli ci si può solo perdere. Uscire dalle chiese sconsolati e aprendo le braccia per il torpore che regna o le parole un po’ sconclusionate di tante omelie. A proposito: ma perché, nella costruzione del Sinodo in corso, la Chiesa torinese non sceglie di far leggere, in tutte le chiese, in tutte le omelie, dai sacerdoti, la Camminare insieme a pezzi? Nelle messe delle prossime domeniche potrebbe essere usa scelta piuttosto intelligente. Che fa costruire fraternità. Non servono molti commenti. Tre pagine a domenica. Otto minuti. Al posto di altro, poco utile.

Pellegrino scriveva (e viveva): “Lo spirito di fraternità deve animare la vita della parrocchia, nei preti e nei laici“. E così i laici si ritrovano (si ritrovino oggi) insieme a vivere e costruire comunità. Ma anche i preti scelgano di vivere insieme, di condividere, di essere in comunione. Pellegrino – e potremmo scrivere Papa Francesco – voleva tutto questo. Sprona a ripensare non a sé stessi, non solo, nel cammino personale, bensì nel cammino comunitario. Sinodale. Insieme, o serve a poco. La Camminare insieme è densa di stimoli per il nuovo Sinodo. Papa Francesco lo sa. E più volte ha “ringraziato” Padre Pellegrino pubblicamente, affermando che nel dopoguerra ha aiutato la sua famiglia a trovare lavoro”.

Se Torino (la Chiesa, la società, le Istituzioni, anche e soprattutto al di fuori della città e dei confini del capoluogo, dunque con tutti i territori e le comunità) è ancora, o sarà, assopita, riparta dalla Camminare insieme. Non è uno sguardo al passato. Non è nostalgia, o abbandono al passato, passatismo inutile e retorico. Non può essere solo un remember di quel che c’era di bello e positivo allora. La testimonianza di Santità di Pellegrino si esprime anche in quella lettera. Nella sua azione animata dalla vita del Vangelo insieme, fino all’ictus che gli ha tolto la parola, fino alla morte, al testamento. Nella Chiesa di oggi Pellegrino con Papa Francesco ci dice che “è l’ora del laicato”. “È l’ora delle comunità”. Dimenticare la Santità di Pellegrino è certamente possibile, stupido ma possibile.

Dimenticarsi di questa “ora”, no.

Abbiamo camminato con lui. Possiamo ancora dirlo. O meglio, con il nuovo Vescovo, il nuovo Sindaco, l’intera comunità, Torino e le Diocesi possono ancora dire: “Camminare insieme” è la sola via (oltre ogni clericalismo, retorica del passatismo, banalità e oscurantismo da sacrestia). Ecclesiogenesi oggi, ci ricorda Piero Coda, vuol dire comunità. Che camminano insieme.

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